Da mesi, armati fino ai denti, giorno e notte presidiano il territorio. Difendono i loro animali dopo averli recuperati una prima volta. Stanno nel cuore della montagna, sui Nebrodi, a cavallo tra la provincia di Messina, quella di Enna e quella di Catania. La mafia ha provato a portargli via l’intero patrimonio aziendale che è costituito, appunto, dagli animali. Li ha messi di fronte a una scelta: pagare oppure dire addio agli animali. E loro, gli allevatori, hanno preso le contromisure: comprando nuovi fucili.
Una situazione, si capisce, al limite e sicuramente una storia di esasperazione perché lì, in montagna, è molto difficile per lo Stato essere presente e i criminali, i mafiosi, lo sanno molto bene. Ecco perché, negli ultimi mesi, le campagne siciliane sono diventate terra di conquista per furti, ricatti, minacce: un’occupazione strategica del racket con il prepotente ritorno dell’abigeato, reato tipico delle associazioni mafiose, mai sparito ma ora tornato alla ribalta. Anche se con qualche piccola variazione. A sentire gli allevatori si registra un fenomeno nuovo: i mafiosi sono stanchi di dover organizzare furti dispendiosi e pericolosi di animali considerato che per potare via un centinaio di mucche servono camion, appoggi, serve una rete logistica e poi servono appoggi giusti nei macelli per poter procedere all’eliminazione clandestina dei capi di bestiame.
Non che sia complicato per le reti criminali che operano da sempre nelle campagne siciliane ma è dispendioso. Molto più semplice presentarsi una volta al mese e chiedere il pagamento del pizzo in cambio della tranquillità sulla base di un principio che Cosa nostra ha già applicato nelle città: far pagare meno ma far pagare tutti. Ed è quello che starebbe avvenendo, dicono i bene informati, sempre più frequentemente nelle campagne. Anche se i mafiosi sanno bene che, in questi casi, si muovono su un crinale molto difficile considerato che gli allevatori magari non denunciano ma sono capaci di difendersi. Anche sparando, se è il caso e se sono esasperati. Ed ecco spesso data una spiegazione a violenze, strani incidenti, fatti di cronaca che spesso passano inosservati nel cuore della campagna siciliana.
Ecco il perché del richiamo, forte, fatto in questi giorni dal presidente regionale di Coldiretti Sicilia Alessandro Chiarelli e dal direttore regionale dell’associazione Giuseppe Campione: «L’abigeato sta crescendo sempre di più – dicono i due -. Mucche, pecore, cavalli, agnelli, ogni notte vengono rubati. Un patrimonio zootecnico che sparisce nel giro di poche ore insieme agli investimenti fatti dagli allevatori». Per il presidente di Coldiretti Sicilia, «la crisi ha scatenato l’attacco nelle campagne soprattutto nelle zone interne dove gli imprenditori agricoli sono costretti a ricorrere alla guardiania privata perché è diventato impossibile lasciare i prodotti incustoditi. Crescono i danneggiamenti e le azioni che incidono sul lavoro degli agricoltori e provocano un clima di incertezza che aggrava la situazione di un settore in crisi, alimentando l’abbandono delle campagne».
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In Sicilia esiste un popolo parassitario che noi chiamiamo mafia, che si adatta ai tempi e ai cambiamenti, sono persone che non vogliono lavorare e non fanno lavorare, vogliono il guadagno facile, amano dare fastidio al prossimo, amano disturbare e distruggere il lavoro degli altri li fa sentire potenti, sembra una piaga senza fine.
Auguro a questi individui di fallire in tutti i loro progetti di male, e spero che dalle nostre montagne possano guadagnare soltanto sconfitte.