Potrebbe iscriversi nel solco delle microstorie. Una come tante, come migliaia. Una microstoria di normalità e quotidiano impegno nella vita e nel lavoro. Ma quella che Roberto Alajmo, giornalista e scrittore palermitano, racconta in questo «Tempo niente, la breve vita felice di Luca Crescente» (Editori Laterza, 126 pagine, 14 euro) dedica a Luca Crescente, magistrato antimafia, morto prematuramente (aveva 39 anni), è più di una microstoria e di una semplice biografia: è il racconto della vita di un uomo che ha saputo essere esemplare, un modello per i propri cari ma anche per i colleghi e anche per chi, come tanti giornalisti, lo ha conosciuto nella quotidianità di un lavoro complesso come il suo.
Alajmo convinto da Milena Marino, la vedova di Luca, impiega bene l'artificio letterario per raccontare un uomo del nostro tempo che sapeva stare lontano dai facili conformismi (di tutti i colori). Ma che sapeva, come riconoscono unanimemente tutti, «indignarsi». Aveva, scrive Alajmo, «la capacità di estrarre dal fodero la spada dell'indignazione e trovarla ogni volta lucida e tagliente. Una dote rara, che appartiene solo a chi non conosce stanchezza psicologica o scoraggiamento». È un aspetto, non l'unico, della personalità di un magistrato che pur avendo fatto indagini delicate sul mondo mafioso, è oggi sconosciuto ai più. Il libro ha il pregio di tornare a raccontare questa storia rifuggendo lo stile agiografico che lo stesso Crescente avrebbe bollato con grande ironia ma raccontando quanto possa valere oggi ancora l'esempio di quest'uomo. «È morto senza pronunciare una frase memorabile – dice Alajmo –. Dai grandi uomini ti aspetti sempre qualcosa del genere. Qualcosa che risulti indimenticabile anche a costo di sembrare retorico. Ma si vede che non conoscevi la discrezione di cui era capace Luca Crescente».
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