di Nino Amadore
Il linguaggio è quello del racconto, quasi un romanzo. Ma la sostanza, purtroppo, è vera, di vita vissuta. Una vita di giovani, anzi di ragazzi, che ben presto hanno imparato ad ammazzare, a spacciare, a farsi di droga. Adolescenti cresciuti in fretta, con la pistola dentro lo zaino, in mezzo ai libri, perché non si sa mai cosa può accadere. Gli adolescenti sono giovani criminali che sembrano usciti da un film di Quentin Tarantino ma sono i soldati della Stidda, l’organizzazione criminale che alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, ha insanguinato la piana di Gela nel nisseno e parte delle province di Agrigento e Ragusa, nella guerra dichiarata alla mafia, a Cosa nostra e alle sue regole. Ai picciotti adolescenti viene affidato il compito di terrorizzare i capimafia, di sconvolgere l’equilibrio del comando mafioso. E loro lo fanno, con tutta la rabbia e la violenza di cui sono capaci, quasi in preda a un delirio di onnipotenza. È questa la sostanza del libro “Baby Killer, storia dei ragazzi d’onore di Gela”, scritto in presa diretta dal giornalista siciliano (è di Enna) Giuseppe Ardica e edito da Marsilio (144 pagine, 13 euro).
Ardica racconta la storia dei baby criminali andando all’origine dello scontro, all’acqua e al cemento, alla grande opera, come la diga Disueri, che doveva portare ricchezza nella piana e invece ha portato violenza, morte e ha segnato il destino di questi ragazzi i quali «Erano tutti ragazzini. Tutti tra i tredici e i sedici anni. Tutti avrebbero dovuto sedere ancora tra i banchi di scuola e invece diventano il braccio armato della Stidda». Un libro che vale la pena leggere, per capire fino in fondo quanto sia grande il disonore dell’essere mafiosi.
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