C’è una vicenda che più di tutte dà l’idea di quale fosse lo spessore e l’importanza dell’architetto Giuseppe Liga, arrestato con l’accusa di aver preso il posto al vertice della cosca di San Lorenzo-Tommaso Natale di Salvatore Lo Piccolo finito in galera e dei suoi due figli (Sandro e Calogero, anche loro in galera): tutti appassionati di investimenti nel settore immobiliare.
Ed è la vicenda del piano di lottizzazione per la costruzione di 18 alloggi sociali da parte della cooperativa Anemone di Palermo, nel quartiere Zen. Una storia mirabilmente raccontata sul Giornale di Sicilia da Giancarlo Macaluso il quale ha ricostruito i contorni di questa storia in cui i protagonisti sono i tecnici ma anche i politici che siedono in consiglio comunale. Un piano di lottizzazione che, in assenza d decisioni da parte del consiglio comunale, doveva essere approvato grazie alla nomina di un commissario ad acta inviato dalla regione a gennaio di quest’anno.
Un commissario che, con una solerzia definita insolita (racconta Macaluso), aveva convocato il consiglio per avere un parere propedeutico alla decisione. Una procedura che aveva destato parecchie perplessità e che alla luce dell’arresto del professionista, torna nuovamente a far discutere. Anche se il piano (un paio di giorni dopo l’arresto di Liga) è stato bocciato dallo stesso commissario, l’architetto Giuseppe Traina, perché non sarebbero arrivate entro i termini di legge le integrazioni sui titoli di proprietà di appezzamenti di terreno su cui dovevano sorgere le abitazioni.
Una storia, quella del piano di lottizzazione dell’Anemone, cominciata nel 2008 quando è arrivata sul tavolo dei tecnici dell’assessorato all’Urbanistica del Comune di Palermo la richiesta di realizzare 18 appartamenti allo Zen: progetto della coop Anemone, firma sul progetto di Giuseppe Liga.
Le carte vanno in commissione urbanistica per il parere di legge e ottiene in via libera ( a maggioranza , con l’astensione di due consiglieri del Pd e il voto contrario di Nadia Spallitta del gruppo Un’altra storia di cui è leader Rita Borsellino). Ottenuto il voto della commissione il progetto passa alla fase successiva: il presidente del consiglio comunale lo mette all’ordine del giorno per la discussione e dunque per l’approvazione o bocciatura. Passano diverse sedute ma non viene presa alcuna decisione: vengono chiesti i certificati antimafia e l’adesione al protocollo di legalità in base a una regola proposta dal Pd e adottata dal consiglio comunale all’unanimità. Certificati che evidentemente tardano ad arrivare e passano invano 20 mesi. Arriva il commissario regionale, nominato dall’assessorato retto in quel momento da Mario Milone già vicesindaco a Palermo: il commissario regionale convoca l’aula per chiedere spiegazioni e parere, espropria la delibera e la vota da solo. Bocciandola, come abbiamo visto. Ma dopo l’arresto di Liga.
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