Quando puoi mettere a repentaglio la vita delle persone ci dobbiamo porre il problema. Credo sia arrivato per noi giornalisti il momento di riflettere». A parlare è Franco Nicastro, 58 anni, presidente dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia. Il suo è un richiamo ai colleghi ad attivare la coscienza dopo le polemiche dei mesi scorsi per la pubblicazione sui giornali dei nomi di imprenditori che hanno denunciato il racket ma anche il dettaglio del libro mastro della famiglia Salvatore Lo Piccolo, il boss arrestato il 5 novembre dell’anno scorso. Ma la questione, dice Nicastro, «va posta anche ai magistrati, agli investigatori e agli avvocati. Io quando facevo la giudiziaria non ho mai avuto una carta né da Giovanni Falcone né da Paolo Borsellino».
Ogni volta che ci muovono una critica lanciamo l’allarme censura. Ma anche noi abbiamo una certa responsabilità.
È chiaro. Ed è anche chiaro che i giornali hanno deciso di non investire molto sulla qualità anche perché per un certo periodo si è avuta l’impressione che la mafia non interessasse.
Ma che bisogno c’è di condire le cronache di dettagli a volte insignificanti ma pericolosi?
Si è passati dal silenzio al rumore per via diretta. E siccome la cronaca è la modalità prevalente ci dobbiamo rendere conto che la cronaca va trattata con la cautela necessaria.
Per esempio?
Una regola fondamentale è quella di separare il livello investigativo da quello dell’informazione nel quale il ruolo dell’informatore deve essere responsabilizzato. Bisogna riflettere anche alla luce delle carte scoperte nei covi dei latitanti dove sono stati trovati ritagli di giornale.
E dunque?
La notizia va data. Sempre. Questo è il nostro lavoro e il nostro dovere. Ma bisogna valutare se in alcuni casi basti dare la notizia nella sua essenzialità. Ma ciò comporta un necessario processo di selezione e quindi culturale. Abbiamo già dimostrato in altri casi di poterlo fare.
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