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Eolico e mafia: lettera aperta Carlo Durante, amministratore delegato di Maestrale Green Energy

Mi chiamo Carlo Durante e tramite la mia azienda collaboro con parecchi sviluppatori, e a nostra volta siamo sviluppatori di parchi eolici.
Scrivo in seguito ai preoccupanti fatti di cronaca che vedono le mani della mafia allungarsi sulle energie da fonte eolica in Sicilia con la complicità di politici, burocrati e imprenditori.
Bisogna isolare i fatti, prendere le distanze e difendere la categoria degli onesti. Con ciò, non nego che il settore abbia visto spuntare personaggi che cavalcano il mercato delle rinnovabili con procedure e comportamenti non sempre chiari, fortunatamente confinati da noi operatori negli angoli del sistema, pur tuttavia in grado di infilarcisi.
Il loro atteggiamento, per ciò che ci è capitato di osservare, ha tre effetti: il primo è diminuire il moltiplicatore delle rinnovabili (il costo di questi sviluppatori riduce il profitto per il produttore di energia alternativa, che è stato creato per incentivare l’investimento in nuova tecnologia) e in cambio, il più delle volte, ottenere solo il “pezzo di carta” (spesso inutilizzabile). Il secondo effetto è di creare un sistema di “mance” al territorio (dai Comuni costretti a chiedere l’elemosina, ai proprietari dei terreni che si trovano la fortuna di vedersi piazzato un impianto su una proprietà il più delle volte abbandonata) spesso oneroso e ingiustificato, che sottrae ulteriore margine (peraltro anche illegalmente, ai sensi della finanziaria 2008, e in duplicazione rispetto all’ICI). E il terzo è di aver delegittimato una professione che in altri Paesi è stata la fortuna di imprese oggi notissime nel nostro settore – penso alle esperienze dei tedeschi e dei danesi, che negli anni passati ci hanno insegnato a sviluppare i parchi eolici e fotovoltaici, e sono letteralmente scomparsi dall’Italia perché sommersi dai loro cloni locali di basso livello, più agguerriti e scorretti. Ecco dunque che in Paesi dove la remunerazione e l’incentivo alle rinnovabili sono più contenuti che da noi, non solo il settore è cresciuto storicamente molto di più, ma si è creata ricchezza d’indotto anche in questo segmento, dello sviluppo, che è divenuto, a tutti gli effetti, una branca specialistica di un misto innovativo fra ingegneria, legale, finanza – il che si applica benissimo, peraltro, a tutto il settore delle infrastrutture, e non solo alle rinnovabili. Il danno complessivo è quindi importante, anche senza considerare l’impatto di immagine negativa che ne consegue sull’eolico in generale.
L’origine del problema è probabilmente da ricondurre ad almeno due cause: da un lato, l’intento fortemente speculativo che caratterizza in genere queste attività non può che prevedere un baricentro iperlocalistico per lo sviluppo dei progetti – in altre parole “bisogna parlare la stessa lingua”. Già qui un importante elemento di professionalità (neutralità di giudizio di fronte alle alternative di progetto) cade per la necessità di farsi intermediare dai locali – che accettano compromessi sub ottimali in cambio di rapidità di processo. Il secondo è dato dall’inadeguatezza delle regole legislative a monte dei processi autorizzativi – le Regioni hanno fino ad ora saputo legiferare più o meno solo in dichiarata difesa della salvaguardia del territorio, ma nulla hanno pensato per arginare il fiume in piena delle richieste di autorizzazioni. Il burocrate, insomma, ha pensato solo ad inasprire e rendere sempre meno certo e penoso il percorso autorizzativo (con grave danno per il settore) con ciò però senza bloccare l’apertura di migliaia di dossier improponibili se non del tutto finti: chiunque, ancora oggi e con poca spesa, può avviare un procedimento autorizzativo, e questo inflaziona e ingolfa il sistema – e l’opacità dei criteri delle procedure di valutazione (che ogni Regione inventa per sé in mancanza di un coordinamento nazionale) è il vero lievito degli atteggiamenti che portano anche alla malavita.
E qui emerge il punto da cambiare: le Regioni (e il Governo italiano attraverso la oramai ritardata emissione delle Linee Guida nazionali relative all’autorizzazione degli impianti da fonte rinnovabile) devono filtrare all’origine. E’ piuttosto semplice individuare le poche caratteristiche di concretezza di un progetto – quelle, intendo, più tecniche – e metterle come barriera all’ingresso del percorso autorizzativo: in sede di APER – l’Associazione Produttori di Energia Rinnovabile, di cui sono Consigliere, abbiamo stilato un decalogo del “corretto sviluppo di un impianto da fonte rinnovabile”. Senza entrare adesso in dettaglio, prendere spunto ad esempio da quel lavoro e porre come conditio sine qua non l’aver per lo meno seguito alcuni passaggi normali dello sviluppo tecnico di un progetto, distinguerebbe il progetto di carta da quello degno di essere analizzato e magari autorizzato.
Nella società di cui sono fondatore e amministratore delegato, Maestrale Green Energy, siamo circa una ventina di persone, tutte laureate, molti con master e dottorati di ricerca e anni di esperienza nel settore ambientale ed energetico. La fatica che facciamo prima di presentare un nuovo progetto e avviare le procedure di autorizzazione può durare anni, e investimenti rilevanti (tecnici: sopralluoghi, anemometri, verifica dei vincoli sul territorio, etc).
Quando leggo in alcuni articoli che “…la cantierabilità (…) dovuta a conoscenze adeguate presso le amministrazioni competenti”, posso assicurare che l’individuazione di un’area, di un territorio e il relativo inizio dei lavori sono costi, analisi, cambiamenti, abbandoni e ripartenze. Questo dipende semplicemente dal fatto che il progetto detiene tutti gli estremi, le caratteristiche imposte dalle leggi comunali, provinciali, regionali e nazionali, il che, assicuro, non è mai semplice, naturalmente se parliamo di sviluppo nel senso corretto del termine.
Voglio ricordare che operiamo in un settore estremamente giovane e in netta espansione, e del resto anche in una situazione di libero mercato. E’ chiaro quindi che se ad operatori industriali, come noi, si affiancano altri operatori, di taglio esclusivamente finanziario, che si accontentano di investire in concessioni pubbliche ad alto rendimento, bene, questo crea bolla e azzardo speculativo. E, per la cronaca, il credit crunch la bolla l’ha anche parzialmente dissolta: il nostro settore si trova all’improvviso in una situazione di minore finanziabilità. E’ chiaro che nel momento in cui le banche stanno molto più attente di prima a concedere credito, e lo fanno con criteri più stretti e a costi maggiori del passato, il prezzo delle autorizzazioni (e quindi il valore del “pezzo di carta”, quello che io definisco inutilizzabile) è rapidamente calato. Nella malasorte, questo fenomeno potrebbe diminuire il numero degli avventizi.
Infine, il fatto che ogni Regione decide per sé o delega a Province e Comuni. Proprio qui si annida il paradosso tutto italiano. In questo “scaricabarile” camuffato sotto la dicitura dell’attribuzione di competenza a più livelli, sia a monte che a valle dell’intero impianto legislativo. Con lo Stato che delega alle Regioni -senza emettere le Linee Guida Nazionali già citate- queste Regioni che nicchiano e ripartiscono le competenze tra Province e Comuni. Questi ultimi che, specie se piccoli, non hanno in organico personale tecnico/amministrativo capace di inquadrare la pratica, la richiesta, con l’ovvia reazione di rigettarla all’ente sovracomunale. Innescando, in questo caso, una sorta di sindrome di NIMBY burocratico, dove al posto del cortile si trova l’ufficio comunale.
Questo, in sintesi, il quadro in cui quotidianamente ci troviamo a operare. I punti sono chiari: eliminare alla radice il concetto di sviluppo a puro fine speculativo, attraverso Linee Guida Nazionali che dettino criteri semplici per filtrare i nuovi progetti all’ingresso del procedimento autorizzativo; eliminare il più possibile l’alea di incertezza nel percorso autorizzativo (ovvero il reciproco del precedente: chi ha studiato seriamente un progetto, lo presenti solo se certo che questo possa essere autorizzato); stimolare la crescita di un comparto professionale innovativo e multidisciplinare, quello del “vero” sviluppatore.
Mi auguro, naturalmente, che i recenti fatti di cronaca rimangano confinati ai casi che sono stati individuati e che sia chiaro all’opinione pubblica che il resto del sistema delle rinnovabili non è inquinato. Ancora una volta, è nella capacità di essere imprenditori, di saper rischiare, ciò che fa sconfiggere la malavita. Se invece prendiamo le rinnovabili con puro intento speculativo, continuiamo a foraggiare sistemi paralleli.
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