Come fanno mafiosi provenienti da realtà meridionali ad espellere gli imprenditori, ad acquisire attività economiche o a rilevare immobili di pregio o attività commerciali? Lo possono fare perché in quest’avventura non sono soli, ma si fanno aiutare da “taluni intermediari finanziari, i quali, pur non appartenendo formalmente alle associazioni di stampo mafioso o similare, non disdegnano di dedicarsi all’attività di riciclaggio per conto dei sodalizi criminali interessati, trincerandosi peraltro dietro lo schermo costituito da società di comodo, spesso ubicate nei c.d. ‘paradisi fiscali’”.
Questi intermediari non sono pochi e non sono soli; anzi, hanno la tendenza ad associarsi, a fare squadra dando “vita a vere e proprie strutture professionali, le quali, posizionate ai confini del mondo criminale, mantengono con il medesimo limitati e meri rapporti individuali”. Questi uomini posseggono di sicuro “un bacino di conoscenze tecniche e professionali” che mettono a disposizione dei mafiosi ai quali forniscono “utili e preziosi suggerimenti attraverso i quali condurre, in termini qualitativi e quantitativi, l’attività di riciclaggio delle cospicue somme accumulate”. Tutti questi intermediari finanziari sono milanesi o lombardi, ben introdotti negli ambienti economico finanziari locali.
La presenza di queste figure, prima nascoste e schermate perché era molto utile che non comparissero pubblicamente, comincia ad emergere in alcune indagini, soprattutto in un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza a seguito della quale è stato possibile accertare come la famiglia ‘ndranghetista dei Talia avesse messo in campo “raffinate e sofisticate tecniche di reimpiego del denaro proveniente da attività illecite avvalendosi di elementi esterni, esperti in campo finanziario, i quali, rimanendo comunque estranei al sopradescritto sodalizio criminoso ma consapevoli dell’illecita provenienza dei capitali, avevano assicurato quel supporto professionale necessario ad individuare le forme di investimento più redditizie e le modalità più opportune per realizzarle”.
I “soggetti esterni” all’organizzazione sono in grado di fornire un lavoro accurato d’alta qualità, specialistico che le ‘ndrine non possiedono. Ad esempio, quello estremamente importante di “individuare società (società immobiliari, edili, finanziarie) o imprese in difficoltà economiche ma in grado di effettuare operazioni finanziarie, alle quali vengono proposti piani di risanamento, spesso implicanti la riscossione di interessi usurari, realizzati con differenti modalità”. L’utilizzazione di queste figure che orbitano nei mondi della finanza ambrosiana consente alle ‘ndrine di effettuare “il trasferimento di denaro all’estero” in quantità sicuramente rilevanti. Sono stati accertati trasferimenti di danaro presso alcuni paesi cosiddetti ‘off shore’ come Andorra, Isole Azzorre, Gibilterra, Liechtenstein, Principato di Monaco, ecc. Sono paesi strategicamente importanti per l’occultamento del denaro mafioso perché “l’assoluta ed impenetrabile riservatezza, unita al favorevole regime fiscale di cui godono, costituiscono certamente un’appetibile ragione di destinazione economica”.
Altra via di destinazione è quella rappresentata dagli investimenti presso quegli Stati caratterizzati da scarsa trasparenza bancaria che certo non mancano, anzi sono aumentati dopo la caduta del muro di Berlino con la creazione di aree caratterizzate proprio da una opacità delle banche.
E’ proprio il caso di alcuni paesi dell’est europeo “dove l’assenza di adeguati impianti normativi e di idonee strutture investigative facilita sicuramente l’attività del crimine organizzato e, quindi, anche dei relativi delitti di riciclaggio”. Le indagini condotte nei confronti delle famiglie di ‘ndrangheta operanti in provincia di Milano, come i Di Giovine, legati alla cosca calabrese degli Imerti, o come i Talia-Mollica, legati alla cosca dei Morabito di Africo hanno fatto emergere indicazioni di sicuro interesse. I Di Giovine hanno investito in Svizzera e successivamente in Spagna, mentre i Morabito dopo aver movimentato il denaro in Svizzera lo hanno successivamente trasferito in Russia. Le tecniche utilizzate per costituire disponibilità finanziarie all’estero sono tante, a cominciare dalle compensazioni dei crediti fra società o soggetti italiani ed esteri.
Scrive la Prefettura di Milano:
Tale pratica consiste nella effettuazione di pagamenti in denaro contante tra società italiane aventi rapporti commerciali con imprese straniere, le quali, a loro volta, saldano il debito acceso in Italia versando la corrispondente somma al soggetto criminale straniero, che fungerà così da vera e propria banca privata per la società italiana. Il rapporto sottostante, fonte del debito, può essere sia fittizio che reale ed in taluni casi anche pertinente ad attività pienamente lecite, condotte da soggetti a volte all’oscuro della vera finalità di tale operazione, che peraltro non comporta alcun materiale trasferimento di valuta all’estero, determinando così la sua rilevazione soltanto attraverso un’analisi della contabilità aziendale delle imprese italiane e straniere coinvolte. La procedura in argomento ha trovato pratica applicazione nell’attività di importazione condotta da taluni gruppi criminali d’origine turca riconducibili alla famiglia Dilek, operante in questa provincia, la quale, con tale tecnica, ha trasferito decine di miliardi in Germania e Turchia. Un altro mezzo impiegato per costituire disponibilità finanziarie all’estero è rappresentato dalle inesistenti movimentazioni di merci, con relativa emissione di fatture false e compensazione fra conti correnti bancari di comodo, aperti presso istituti di credito italiani ed esteri. In tale pratica ci si avvale di un intermediario esterno al gruppo con la funzione di collettore dei ricavi illeciti, il quale, dopo aver ricevuto sul proprio conto bancario italiano la somma da trasferire, provvede ad immettere l’equivalente sul conto estero della famiglia mafiosa, prelevando da un proprio conto estero e trattenendo un’intermediazione corrispondente solitamente ad una percentuale pari al 4-5%.
In questa vasta attività di riciclaggio e di reimpiego del denaro sporco un ruolo importante è stato rivestito da funzionari di banca milanesi e professionisti vari i quali stabilendo rapporti con i mafiosi e favorendoli nelle loro attività economiche ne ricavano un utile consistente. A Milano, nella seconda metà degli anni novanta, la magistratura aveva individuato un riciclaggio di notevoli somme di denaro proveniente da rapine. Il riciclaggio è stato realizzato grazie alla complicità di un funzionario di una banca milanese attraverso un intricato sistema che aveva il suo fulcro nel deposito della somma presso Istituti di credito su conti opportunamente frazionati. Inoltre era emerso un “professionista fattosi collettore di somme provenienti da varie attività illecite riconducibile a distinti gruppi criminali. Le somme così raccolte venivano impiegate in locali notturni con sistematico prelevamento degli utili corrispondenti da parte del medesimo professionista”.
Probabilmente questo era un caso isolato, e tuttavia era “esemplare di un circuito non infrequente costituito da un professionista collettore collegato con più gruppi criminali e da attività commerciali lecite operanti sopratutto nel ramo del tempo libero”. C’era stato anche un Direttore di un’agenzia di banca che riciclava soldi provenienti dal mondo dell’usura. Non è una novità e non è una caratteristica della realtà milanese o lombarda. Banche e usura s’attraggono reciprocamente; dappertutto. Un’attrazione davvero fatale. E l’usura s’andava sempre di più intrecciando, per vie dirette o indirette, con gli ambienti del riciclaggio immettendovi quantità rilevanti di denaro in contanti.
La magistratura milanese notava inoltre “l’attività sul campo dell’usura di un professionista a propria volta collettore degli introiti di numerose discoteche nell’Italia settentrionale facenti capo a gruppi espressione della criminalità organizzata”. L’indagine è stata particolarmente significativa perché ha visto in collegamento i gruppi criminali trafficanti di droga con i cui ricavi avevano acquistato discoteche e l’usura esercitata con capitali tratti da quest’ultima attività”. L’usura continua ad affacciarsi sempre di più a fianco dei mafiosi; anzi, l’attività usuraia appariva, sempre di più, addirittura “strumentale alla vita ed alla operatività di associazioni criminali di stampo mafioso. In questi casi l’usura viene esercitata non tanto come fonte di guadagno ovvero come strumento di riciclaggio bensì come mezzo per permettere alla associazione di stampo mafioso di controllare il territorio ed asservire a sé ed ai propri fini le società da utilizzare non solo per il riciclaggio quanto come basi di appoggio e strumenti per coperture ulteriori”.
L’espressione “controllare il territorio” contenuta nel documento della magistratura è forte, e sappiamo non essere condivisa da tutti coloro che si muovono nel campo del contrasto alla criminalità organizzata. E proprio per questo è importante, così come importante è l’affermazione secondo cui l’usura esercitata da gruppi criminali e con capitali illeciti è finalizzata a controllare “le società stesse senza per altro direttamente acquisirle”. Quando questo accade è perché la proprietà formale rimane ancora in capo al vecchio proprietario mentre quella sostanziale è di fatto transitata già in mano mafiosa. L’apparenza inganna; è un luogo comune, un modo di dire, ma certo esso s’attaglia bene alla nostra situazione perché ci fa comprendere quanto è successo.
Per comprendere i mutamenti intervenuti nel corso degli anni occorre guardare alla storia del gruppo Di Giovine-Serraino che è emblematica del modo di operare e delle trasformazioni operate nel tempo. Fino agli anni novanta il gruppo utilizzava i soldi ricavati dal narcotraffico per comperare altra droga. Poi, com’era inevitabile, le cose cambiarono perché i profitti cominciarono ad essere davvero rilevanti e dal 1990 si era presentato il problema del surplus di ricchezza da gestire. Attraverso un commercialista che si mise a completa disposizione della famiglia era stato creato un primo canale privilegiato con banche di Lugano e di Ginevra “con versamenti per miliardi con la tecnica bancaria della creazione di pluralità di sottoconti in diverse valute per sfruttare anche le oscillazioni del cambio. Un ulteriore sviluppo della attività di riciclaggio aveva portato il gruppo da Ginevra a Zurigo realizzando rapporti privilegiati” con un’altra banca tramite un alto funzionario “che procedeva al miglior impiego del denaro per l’organizzazione. A Ginevra il gruppo faceva amplissimo impiego anche di cassette di sicurezza”.
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