Dall’audizione del capo della Dna Piero Grasso di fronte alla commissione Antimafia.
I detenuti riescono a comunicare, passando sotto la finestra di una cella, con un fugace scambio di notizie; con biglietti scritti attraverso cordicelle da una finestra all’altra; con l’occultamento di bigliettini in determinati luoghi, come, per esempio, dietro un termosifone ubicato nei locali docce, raccolti poi da un altro detenuto che passa in un altro momento; con colloqui nelle sale di videoconferenza durante la celebrazione dei processi; con l’occultamento di un messaggio scritto all’interno di un panino cui il detenuto dà un solo morso, lasciandolo, al termine dell’udienza, nella gabbia, da dove viene prelevato da persona di sua fiducia presente in aula; con messaggi orali e biglietti scritti affidati al personale penitenziario e sanitario corrotto, il quale li consegna al destinatario o ai familiari del detenuto (questi sono casi patologici, naturalmente); con simulazione da parte del detenuto di un grave stato di salute per il trasferimento in un centro clinico dove è più facile avere contatti con medici di fiducia o con familiari; con la scrittura di uno o più messaggi sui singoli veli che formano i fazzolettini igienici per il naso ed il loro occultamento mediante cucitura all’interno della patta dei pantaloni o nella fodera di una giacca, che sfuggono, a causa della loro leggerezza, anche ad una eventuale ispezione degli indumenti da parte del personale della polizia penitenziaria; con la spedizione di indumenti in pacchi indirizzati a familiari in stato di libertà, che poi consegnano i messaggi ai reali destinatari. La fantasia non ha limiti. Ed ancora, con messaggi fatti pervenire attraverso lettere scritte con linguaggi convenzionali e indirizzate ai familiari, che poi li consegnano ai reali destinatari. Potrei continuare con un elenco dei più svariati metodi, ma il problema è che, nonostante tutta l’attenzione, nonostante tutte le norme in vigore, i detenuti continuano a comunicare con l’esterno. La questione, quindi, si pone ed è grave. Occorrerebbe che tutte le istituzioni preposte alla pratica attuazione di tale regime, dal Ministero della giustizia, al DAP, alla stessa Direzione nazionale antimafia, alle varie DDA, alla magistratura di sorveglianza, alle procure generali, così come alla Corte di cassazione ed alla Corte costituzionale – che si sono spesso interessate del problema -, ponessero in essere tutti gli accorgimenti necessari per evitare che, anche involontariamente, si possa venire incontro a queste aspirazioni di comunicazione da parte dei mafiosi.
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