Ventidue anni dopo approda in un’aula giudiziaria il caso dell’omicidio di Mauro Rostagno, ucciso il 26 settembre 1988. Toccherà ai giudici della Corte d’Assise di Trapani scrivere la verità processuale sul delitto. La presenza alla sbarra del boss Vincenzo Virga e di Vito Mazzara, considerati, rispettivamente, mandante e killer, affermano la netta responsabilità della mafia trapanese.
E riconducono il delitto all’attività informativa e martellante di Rostagno condotta attraverso l’emittente Rtc Radio Tele Cinè. Un mese prima di morire, il giornalista-sociologo, leader della comunità Saman, stava preparando uno scoop. Per i magistrati della Dda Antonio Ingroia e Gaetano Paci il quadro è chiaro: «Muovendo forti ed esplicite accuse nei confronti di esponenti di ‘Cosa nostra e richiamando in termini di speciale vigore l’attenzione dell’opinione pubblica, Rostagno aveva toccato diversi uomini d’onore e generato un risentimento diffuso nell’ambito dell’organizzazione criminale».
L’omicidio di Rostagno sarebbe stato quindi deliberato in seno a Cosa nostra: l’ordine di provvedere -sottolineano gli inquirenti- così come riferito dai collaboratori di giustizia, è stato dato dall’allora rappresentante provinciale Francesco Messina Denaro (morto da anni e padre del superlatitante Matteo) e il mandato per l’organizzazione e la materiale esecuzione è stato conferito a Vicenzo Virga. Rostagno si era fatto dare una telecamera portatile dai tecnici della sua emittente. La cassetta con le riprese la teneva chiusa in un cassetto, in ufficio, e ne aveva fatto una copia che teneva in borsa: fu la prima cosa che i killer cercarono la sera del 26 settembre 1988, dopo avergli sparato.
Il commando utilizzò due fucili calibro 12 (uno dei quali esplose tra le mani di un sicario) e una pistola. Otto colpi diretti alla schiena nel buio del piccolo borgo di Lenzi, fra Custonaci e Valderice, nel Trapanese. Una perizia balistica ha dimostrato come i proiettili partiti da un fucile siano stati sparati dalla stessa arma utilizzata in almeno altri tre omicidi di mafia. La Procura ha cercato a lungo di mettere insieme tutti i pezzi del mistero. E il 23 maggio del 2009, anniversario della strage di Capaci, la Squadra mobile di Trapani ha arrestato Virga e Mazzarrà, su richiesta dei magistrati della Dda, Antonio Ingroia e Gabriele Paci. Il 18 nov 2010 il rinvio a giudizio deciso da gup Ettorina Contino.
Il gip Maria Pino già a novembre 2007 aveva esaminato i 34 faldoni dell’inchiesta e concluse che c’era ancora qualcosa da tentare. Così di proroga in proroga delle indagini si è delineato il quadro in cui è stato deciso e commesso il delitto. Sono stati i pentiti ad avere indicato con decisione la pista mafiosa per il delitto Rostagno. La pista interna alla ‘Saman’, aperta nel 1996 dalla Procura diTrapani, non ha portato lontano. Le accuse nei confronti del ‘gurù della comunità, Francesco Cardella, e della compagna di Mauro, Chicca Roveri, sono ormai archiviate. Enzo Brusca ha detto di sapere che Totò Riina era soddisfatto per
l’eliminazione di Rostagno. Francesco Milazzo ha messo a verbale la confidenza che gli fu fatta da Francesco Messina: «Per Rostagno abbiamo sistemato tutto». E ha aggiunto: «Il via per l’omicidio era partito dalla Provincia, perché il giornalista aveva toccato qualche nome importante nelle sue trasmissioni».
Il collaboratore Vincenzo Sinacori ha confermato che «all’interno di Cosa nostra trapanese si erano diffuse lamentele nei confronti dell’attività giornalistica di Mauro Rostagno, perchè nei suoi programmi non perdeva occasione di attaccare Cosa nostra». Quando il pm Ingroia ha chiesto al pentito di precisare di cosa si occupassero in quel periodo le famiglie trapanesi, Sinacori ha detto: «Soprattutto, di traffici d’armi e di droga, ma ci si occupava anche di rifiuti». Forse, qualcuno aveva chiesto ai mafiosi il favore di uccidere Mauro Rostagno? Ritorna il mistero dello scoop mai andato in onda. E della videocassetta non si è trovata neanche a Rtc. Sono rimaste le cassette degli ultimi telegiornali: Rostagno denunciava la mafia, ma soprattutto la malapolitica e la massoneria. Ai magistrati di Trapani, un amico di Mauro, Sergio Di Cori, rivelò: «Mi confidò di un traffico d’armi che avveniva in una pista aerea in disuso. Mi risulta che avesse fatto anche delle riprese con una telecamera».
Si tratta della pista dell’allora aeroporto militare di Kinisia, in provincia di Trapani. L’indagine si è subito rivelata complicata, anche per la difficoltà di ottenere notizie dalle autorità militari. Ingroia aveva dato incarico a un consulente, esperto di stragi e servizi deviati, di cercare al Sisde informazioni che potessero confermare ‘collegamenti fra la scomparsa di Rostagno e traffici internazionali di armi, con particolare
riferimento a quelli fra Italia e Somalià. Adesso la parola passa ai giudici di Trapani.
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