“Non chiederti cosa il tuo Paese possa fare per te, ma chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese”: citando John Fitzgerald Kennedy, il capo della Procura antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone ha esordito nell’incontro tenutosi nella Sala conferenze della Camera di Commercio di Reggio Calabria in cui è stato presentato, il libro “L’Isola Civile – Le Aziende Siciliane contro la mafia” (Einaudi, pagg. 262, euro 17,50) scritto da due giornalisti del Sole24Ore, Nino Amadore e Serena Uccello.
La presentazione del libro è stata l’occasione per discutere di un tema tanto importante quanto quello della mafia e della ‘ndrangheta, soprattutto in riferimento alla situazione siciliana, in cui la società civile e imprenditoriale ha avuto negli ultimi anni la forza e il coraggio di ribellarsiall’oppressione mafiosa, e anche a quella calabrese dove invece ancora “non c’è ancora la coscienza di una responsabilità civile nella lotta alla criminalità organizzata”.
All’incontro hanno preso parte, oltre al già citato capo della Procura antimafia di Reggio Giuseppe Pignatone, anche i presidenti di Confindustria Sicilia e Calabria, rispettivamente Ivan Lo Bello e Umberto De Rose.
Facendo il punto della situazione sulla lotta alla criminalità organizzata, ne è emerso un quadro dinamico e in continua evoluzione: “non possiamo certo dire di avere sconfitto Cosa Nostra – ha dichiarato Pignatone – ma certamente è in grave difficoltà”.
Proprio quello che sta succedendo in Sicilia negli ultimi anni è sottoposto all’analisi di Nino Amadore e Serena Uccello che hanno voluto pubblicare questo libro spinti dalla nobile motivazione di stimolare ulteriormente la lotta alla mafia e di esaltare l’esperienza dell’imprenditoria siciliana che sta combattendo con ottimi risultati la criminalità organizzata: senza dubbio è un esempio da prendere come modello per le altre piaghe criminali che altre Regioni del sud devono subire: la camorra in Campania e la ‘ndrangheta in Calabria, ad esempio.
Dalla discussione emerge un grande stimolo, esplicitato da Serena Uccello: “vorrei scrivere di Reggio e della Calabria quello che abbiamo scritto di Palermo e della Sicilia, vorrei tornare a Reggio tra poco più di un anno e trovare quello spirito, quella forza, quel coraggio e quella mentalità che hanno alimentato e spronato la Sicilia nella lotta alla mafia. Sono convinta che in questa terra è possibile un cambiamento che ribalti la situazione, com’è accaduto in Sicilia, perchè già ci sono dei segnali importanti”.
L’incontro è stato moderato da Onofrio Dispenza, vicedirettore del Tg3, che ha saputo esaltare il principio dell’importanza della legalità che emerge in modo primario dal libro dei giornalisti del Sole24Ore.
In apertura è stato Lucio Dattola, il “padrone di casa”, a dare il benvenuto agli ospiti, a ringraziarli per la presenza e a inorgoglirsi del fatto che un evento tanto importante fosse ospitato proprio nella Camera di Commercio Reggina.
Serena Uccello, poi, ha raccontato la genesi dell’idea di questo libro, concepito tra 2006 e 2007 con una fase di gestazione abbastanza lunga nel corso del 2008 fino alla recentissima pubblicazione: “abbiamo voluto raccontare nel modo più verosimile possibile la realtà della Sicilia, evidenziando le ragioni di chi ha deciso di denunciare il pizzo. Tutto è iniziato nel lontano (ma non troppo) 2004, quando una mattina di giugno Palermo s’è svegliata tappezzata da manifesti che recitavano: ‘Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità’. Quello è stato il punto di partenza di una battaglia importante, che ha già avuto grandi riscontri e ottimi risultati. Ovviamente, però, c’è ancora tanto da fare e nel libro cerchiamo di esaltare il modello di Palermo, e di altre realtà Siciliane, affinché venga preso come esempio anche altrove. Penso a Trapani, a Messina o anche alla Calabria dove non registriamo alcun tipo di cambiamento al contrario di quanto accaduto a Palermo così come ad Agrigento, Caltanissetta e Gela, dove oggi chi denuncia trova appoggio, consenso, conforto e aiuto: non è più considerato come un pazzo. Il ruolo delle associazioni come ‘Addio Pizzo’ di Palermo è fondamentale, perché contribuisce a livello sociale e civile a rendere contezza di quanto possa essere importante sentirsi parte di una squadra che lotta per la legalità e per difendere i propri diritti”.
Subito dopo interviene Ivan Lo Bello, presidente di Confindustria Sicilia. Lo Bello racconta quante denunce gli imprenditori Siciliani stanno facendo contro l’estorsione: oltre cento a Palermo, quasi novanta a Gela, una trentina ad Agrigento. Un risultato importante, certo, ma non tanto per il dato numerico e quantitativo in se e per se, “quanto – spiega Lo Bello – per la vera e propria rivoluzione culturale, sociale e civile da cui nasce lo spirito, la motivazione e il coraggio per affrontare la mafia come si sta facendo in Sicilia. La mafia si intrecciava con quella cultura assistenziale e clientelare della società civile, ma oggi in Sicilia lo stato ha ripreso il controllo del territorio dopo importantissimi successi come quelli di Palermo, dove le famiglie mafiose sono state decapitate e quindi costrette a un veloce e improvviso ricambio che ne ha abbassato notevolmente la qualità e la pericolosità criminale. La magistratura e le forze dell’ordine hanno fatto tantissimo, ma senza l’azione sociale e civile nulla di quanto ottenuto sarebbe stato possibile. All’azione dello Stato occorre affiancare un meccanismo sociale di presa di coscienza e responsabilizzazione, solo così si può sconfiggere la piaga della mafia, che è un problema fondamentalmente culturale”.
Parla anche il presidente di Confindustria Calabria, Umberto De Rose, spiegando che “non basta abbattere la mafia, ma serve anche creare contesti che consentano di fare impresa. Dobbiamo sconfiggere la sfiducia nella nostra Regione, dove serve più presenza dello Stato”. De Rose ha inoltre denunciato il sistema bancario e creditizio, accusandolo di praticare tassi di accesso al credito “praticamente estorsivi”.
L’intervento di Giuseppe Pignatone ha sintetizzato quanto emerso dalla discussione generale: “il libro di Serena Uccello e Nino Amadore fa piazza pulita di un equivoco di partenza, e cioè che a sconfiggere la mafia dev’essere lo Stato, da solo. I successi ottenuti in Sicilia non sono, invece, successi esclusivi delle forze dell’ordine, dello Stato e della magistratura, perché non basta la repressione. Serve invece il giusto mix tra la rivolta della società civile contro la mafia e la repressione giudiziaria: questi due elementi insieme possono generare un processo virtuoso. La Sicilia ha fatto una scelta di libertà e di sviluppo, e in altre realtà solo se cambia il modo di fare e di vedere le cose può avvenire qualcosa di simile”. Pignatone, pur elencando alcuni dei più importanti successi delle forze dell’ordine e della magistratura contro la mafia in Sicilia così come in Calabria s’è soffermato sull’importanza del contributo civile e sociale alla lotta nei confronti della criminalità organizzata.
In conclusione Nino Amadore, sulla falsariga di quanto espresso da Pignatone e dallo “stimatissimo” Lo Bello, ha puntualizzato ulteriormente, in modo estremamente lucido, come devono essere i cittadini a rimpossessarsi del loro territorio quando manca lo Stato: “se manca lo Stato, infatti – ha dichiarato Amadore – gli imprenditori devono diventare la classe dirigente e i cittadini devono dare risposte di consenso e appoggio ad ogni tipo di iniziativa antimafia. Con questo modello etico alternativo lo Stato può rimpadronirsi del territorio proprio con il contributo della società civile, come accade in Sicilia”.
Anche l’intervento di Amadore, così come la conclusione di Serena Uccello, parafrasa la fine del libro che racconta una storia di un imprenditore Lametino che ha denunciato il suo estorsore: l’intenzione degli autori è, evidentemente, quella di poter fare al più presto della Calabria un’altra “Isola civile”.
Il dado è tratto, la sfida è lanciata: adesso tocca a noi.
di Peppe Caridi
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