PALERMO – Alla storia passerà, sempre e comunque, come l’ uomo che ha fatto prendere Totò Riina dopo quasi un quarto di secolo. Come il boss che ha portato i carabinieri fino al rifugio del più imprendibile dei latitanti di mafia. Come quello che ha riconosciuto e indicato ai cacciatori del Ros il volto del capo dei capi di Cosa Nostra siciliana. Sarà sempre così. Sarà sempre così anche se le ombre, i dubbi, i sospetti si intrecciano intorno a quella cattura e al pentito che si è accreditato al mondo intero come colui che ha preparato l’ ultima trappola per lo zio Totò. Eppure, dopo il suo arresto, dopo la scoperta che Baldassare Balduccio Di Maggio continuava a fare contemporaneamente il collaboratore di giustizia e il capomafia, il mistero di quel 15 gennaio 1993 (il giorno quando Riina finì in carcere) ritorna. E ritorna per l’ oscuro passato di Balduccio. Per i suoi legami con un generale dei carabinieri. Per i racconti di alcuni pentiti che hanno cominciato a parlare della “cattura” del capo del clan dei Corleonesi. Il più informato sulla vicenda – ma la sua, attenzione, è una rivelazione per sentito dire – sembra sicuramente Tullio Cannella, l’ imprenditore palermitano che ha favorito per qualche anno la latitanza di Leoluca Bagarella, il cognato dello zio Totò, il suo braccio militare. Cannella, il 23 luglio scorso, è stato interrogato per molte ore da Piero Grasso della Procura nazionale antimafia, da Domenico Gozzo della Procura di Palermo e da Carmelo Petralia della Procura di Caltanissetta. L’ imprenditore-pentito si è addentrato nel labirinto dei legami inconfessabili tra boss e apparati dello Stato, ha fatto il nome del generale Francesco Delfino (è quello al quale Balduccio ha affidato la sua vita quando ha deciso di collaborare), ha raccontato cosa pensava il suo amico Bagarella di un altro grande capomafia di Corleone, Bernardo Provenzano: “Secondo lui era uno sbirro…uno che intrattiene rapporti con esponenti delle istituzioni”. Le ultime rivelazioni di Tullio Cannella partono proprio dall’arresto di Totò Riina. Da quello che l’ imprenditore ha intuito da certi discorsi che gli aveva fatto Leoluca Bagarella, il capo dei capi di Cosa Nostra fu “venduto” ai carabinieri da Bernardo Provenzano, “che con loro aveva rapporti”. E’ una clamorosa rivelazione – al vaglio dei magistrati e degli investigatori – che punta a risolvere in qualche modo il “giallo” dell’ arresto dello zio Totò, avvenuto a Palermo dalle parti di viale Lazio la mattina del 15 gennaio 1993. I carabinieri del Ros dissero allora che stavano setacciando quella zona da sei mesi, spiegarono che avevano localizzato il covo del capomafia, raccontarono che Balduccio Di Maggio aveva riconosciuto Riina in un filmato. Una ricostruzione un po’ approssimativa che diventò incredibile per quello che accadde subito dopo. A pochi minuti dalla cattura del mafioso, il suo covo fu abbandonato. I magistrati di Palermo credevano che fosse controllato dai carabinieri, in realtà da quella villa entrarono e uscirono per diversi giorni numerosi boss per “ripulire” ogni stanza. Ma ecco cosa racconta Tullio Cannella ai procuratori di Palermo e di Caltanissetta il 23 luglio scorso: “Leoluca Bagarella mi disse che, uno o due giorni prima dell’ arresto di Riina, lui era stato a casa di suo cognato e che, quindi, gli riusciva difficile capire come mai egli stesso non fosse stato catturato in quella occasione. Mi espresse anche la sua perplessità sul fatto che il solo Balduccio Di Maggio potesse aver consentito la cattura di Totò Riina…”. E aggiunge ancora Cannella parlando dell’ arresto di Riina: “Poi, alludendo a Bernardo Provenzano, Bagarella disse questa frase: ‘L’ amico mio forse sa qualcosa.’ ..”. In un’ altra occasione – ricorda sempre Cannella ai magistrati – Bagarella fu ancora più esplicito nei confronti dell’ ultimo capo mafioso ormai rimasto in libertà. Disse quell’ altra volta sempre il corleonese: “Io non intrattengo rapporti con gli sbirri come invece fanno Saro Riccobono e Bernardo Provenzano…”. Di questi rapporti del vecchio Provenzano “con esponenti delle Istituzioni e in particolare dell’ Arma dei carabinieri”, l’ imprenditore pentito ne sentì parlare più volte. Ma l’ ultima parte del suo verbale del 23 luglio, Tullio Cannella la dedica al generale dei carabinieri Delfino, quello che per primo interrogò in una caserma di Novara (alle 2 della notte del 9 gennaio 1993), Balduccio Di Maggio. Lo ricorda – la fonte è sempre Bagarella – a proposito “dei contatti tra Cosa Nostra e i servizi segreti”. E’ possibile che il riferimento corra a Balduccio Di Maggio e a Bernardo Provenzano? E’ possibile che questi “contatti” siano stati ripresi nel gennaio del 1993 proprio alla vigilia della cattura del capo corleonese? Ed è possibile che il pentito che passerà alla storia come l’ uomo che ha fatto prendere Totò Riina, non sia solo una pedina di quello che il giudice Falcone chiamava il “gioco grande”? Un “gioco grande” che, dopo le stragi dell’ estate, avrebbe potuto anche prevedere un “sacrificio”: la cattura di Totò Riina. – a.b.[ad#co-9]
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