di Antonio Mazzeo
Tutti a far festa per il Ponte. Innanzitutto Silvio Berlusconi e lo stato maggiore della coalizione di centro-destra. Poi gli “autonomisti” siciliani di Raffaele Lombardo, governatore della Sicilia e azionista di minoranza della società concessionaria per la realizzazione del Ponte, la Stretto di Messina S.p.A. (a capitale interamente pubblico). Sono ovviamente felici azionisti ed amministratori d’Impregilo, la capofila del consorzio che si è aggiudicata progettazione e lavori della megainfrastruttura.
Di certo avranno brindato pure piccole e grandi cosche in Calabria e in Sicilia e forse anche aldilà dell’Oceano. È tanto il clamore sollevato sullo sblocco dei lavori e un primo finanziamento del CIPE che sembrano passati anni luce da quando organi di stampa, ambientalisti e qualche parlamentare denunciavano le tante zone d’ombra della lunga gara d’appalto.
Le cosiddette “anomalie”? Innanzitutto la partecipazione alla fase di pre-qualifica per la progettazione e realizzazione del Ponte di una società su cui sarebbe stato rilevante il controllo di una delle più potenti organizzazioni mafiose nordamericane. Poi, tutte da comprendere ancora oggi, le ragioni delle improvvise defezioni dei grandi gruppi esteri proprio alla vigilia dell’apertura delle buste. E ci sono gli innumerevoli conflitti d’interesse sorti nelle relazioni tra la società concessionaria, le aziende in corsa per il general contractor (1) e i gruppi azionari di riferimento. Per non dimenticare l’inserimento di clausole contrattuali più che benevoli con i vincitori e che prevedono una penale stratosferica (il 10% dell’importo totale più le spese già affrontate) in caso di recesso da parte dello Stato dopo la definitiva approvazione dell’opera. In ultimo l’ingiustificato ribasso del 12,33% praticato dalla cordata guidata da Impregilo (pari a 500 milioni di euro su una base d’asta di circa 4 miliardi e 425 milioni), oggetto di ricorso presso il TAR Lazio da parte del raggruppamento avversario con mandataria Astaldi.
Ponti, coppole e lupare
Ottobre 2004. La Società Stretto di Messina S.p.A. comunica i risultati della fase di pre-qualifica per la scelta del contraente generale. Alla tappa successiva, quella delle gara d’appalto vera e propria, sono ammessi tre dei cinque raggruppamenti internazionali che avevano presentato una proposta preliminare. Il primo di essi è guidato dall’austriaca Strabag AG ed è composto dalla francese Bouygues Travaux Publics SA, dalla spagnola Dragados SA, e dagli italiani Consorzio Risalto e Baldassini-Tognozzi Costruzioni Generali; segue il raggruppamento formato da Astaldi, Pizzarotti & C., CCC – Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna, Grandi Lavori Fincosit, Vianini Lavori, Ghella, Maire Engineering, la giapponese Nippon Steel Corporation e le spagnole Necso Entrecanales Cubiertas e Ferrovial Agroman; infine l’associazione con capogruppo Impregilo e mandanti la francese Vinci Construction Grands Projets, la spagnola Sacyr S.A.U., la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries CO Ltd. e le italiane Società Italiana Condotte d’Acqua, CMC – Cooperativa Muratori & Cementisti e Consorzio Stabile A.C.I. S.c.ar.l.. Le tre cordate vengono invitate alla presentazione delle offerte entro il termine del 20 aprile 2005, successivamente prorogato al 25 maggio.
Nella relazione presentata dalla società concessionaria viene omessa la composizione delle due associazioni d’imprese escluse dalla Commissione e i motivi di tale esclusione. Questione tutt’altro che marginale, non fosse altro perché una di esse era finita nel mirino della Procura di Roma nell’ambito dell’inchiesta sul tentativo di turbativa d’asta ed infiltrazione mafiosa nella realizzazione del Ponte da parte del gruppo criminale italo-canadese diretto dal boss Vito Rizzuto (la cosiddetta “Operazione Brooklin”).
Secondo gli inquirenti romani, Rizzuto & soci volevano assumere il ruolo di registi dell’operazione, investendovi 5 miliardi di euro provenienti in buona parte dal traffico internazionale di eroina e cocaina. «L’attenzione dell’associazione si era focalizzata nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare della Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari del Tribunale Penale di Roma. «L’interesse prioritario dell’organizzazione sarebbe stato quello di finanziare l’opera indipendentemente da un coinvolgimento diretto nella sua realizzazione dato che così, comunque, avrebbe potuto partecipare ai ricavi connessi alla sua concreta gestione… Per concretizzare l’affaire Ponte, Rizzuto si sarebbe valso dell’ingegnere Giuseppe Zappia, imprenditore apparentemente “pulito”, privo di precedenti penali e con una pregressa esperienza nel campo delle opere pubbliche». (2)
In vista della gara del Ponte, l’ingegnere Zappia aveva fondato una modestissima società a responsabilità limitata (30 mila euro di capitale), la Zappia International, la cui sede legale veniva fissata a Milano negli uffici dello studio Pillitteri-Sarni, titolare Stefano Pillitteri, consigliere di Forza Italia e figlio dell’ex sindaco socialista del capoluogo lombardo, Paolo. Collega di studio del Pillitteri è Cinzia Sarni, moglie del giudice Ersilio Sechi che ha assolto Marcello Dell’Utri e Filippo Rapisarda per il crack Bresciano. (3) Era a lei che Giuseppe Zappia confidava i suoi propositi. «Lei è al corrente che io voglio fare il ponte di Messina?», rivelava l’ingegnere in un colloquio telefonico del 13 giugno 2003. «Io se faccio il ponte lo faccio perché ho organizzato 5 miliardi di euro… e questi 5 miliardi furono organizzati da tempo, mi comprende? Da tempo!» (4)
L’ingegnere italo-canadese aveva allestito un team di professionisti internazionali per la gestione degli aspetti economici e finanziari dell’operazione. Consulente legale del gruppo fu nominato l’avvocato romano Carlo Della Vedova, mentre i contatti con i potenziali finanziatori esteri furono affidati al mediatore cingalese Sivalingam Sivabavanandan. Per stringere relazioni e alleanze con ministri, sottosegretari e imprenditoria capitolina, Zappia si avvalse di un ex attore televisivo di origini agrigentine, Libertino Parisi, noto al grande pubblico per aver fatto l’edicolante nella trasmissione Rai “I fatti vostri”. Con Parisi vennero programmati appuntamenti e riunioni ai massimi vertici istituzionali, finanche con il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e con il ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi.
«Ho parlato con quelle persone che erano molto interessate del fatto che un’impresa con capitali arabo-canadesi intende costruire il ponte finanziando l’opera per intero», rivelava l’ingegnere a Libertino Parisi, in una telefonata del 5 marzo 2004. «Ho ricevuto indicazioni di mandare un fax con la proposta alla segreteria del Presidente della società Stretto di Messina». Il fax partirà quattro giorni più tardi, oggetto la richiesta di un appuntamento per discutere in «maniera riservata della costruzione del ponte con la propria impresa mediante il finanziamento di una cordata di capitali internazionali». Il 24 marzo, giorno in cui il consiglio d’amministrazione della Stretto S.p.A. approvava il bando di gara proposto dall’amministratore delegato Pietro Ciucci per la pre-selezione del general contractor (5), l’ingegnere era intercettato mentre dava le ultime istruzioni a Parisi in vista di una riunione con i vertici della società concessionaria. «Quello che io ho bisogno – affermava Zappia – è di uscire dalla riunione di questo pomeriggio con la facoltà di sedersi con il Governo e di fare l’accordo a cui posso io arrivare con i miei finanzieri. Perché, i miei finanzieri, non li svelerò a loro… Io, ho due finanzieri, uno separato dall’altro, tutti e due sono pronti a mettere non 4.500, insomma quant’è? Questo, 4 miliardi e mezzo? So’ pronti a mettere cinque miliardi di euro! È una cosa che loro non hanno, e che spero che la guarderanno un po’ fuori limite».
Il 22 aprile 2004 Zappia informava l’avvocato Dalla Vedova dell’esito di una lunga riunione con gli ingegneri e gli avvocati della Stretto di Messina e di un’altra riunione con Salvatore Glorioso, segretario particolare dell’allora ministro Enrico La Loggia ed assessore provinciale di Forza Italia a Palermo. L’ingegnere aggiungeva: «Per la legge italiana devono fare una presentazione d’offerta, ma è solo una formalità perché loro già sanno chi farà il ponte ed è un loro amico che si chiama Joe Zappia!». «Sono già stato alla sede romana della Stretto di Messina con Sivabavanandan», aggiungeva l’anziano ingegnere. «Non ti posso riferire adesso quello che ci siamo detti in quelle ore, ma hanno deciso che l’uomo che farà il ponte sarò io perché posso gestire i problemi in quell’area del Paese. Sono calabrese!».
Il sapersi muovere in un ambiente notoriamente “difficile”, la disponibilità di imponenti capitali da offrire per i lavori del Ponte, facevano di Giuseppe Zappia un uomo fermamente convinto di poter imporre le proprie regole, senza condizionamenti di sorta. Del resto società concessionaria e potenziali concorrenti manifestavano già qualche difficoltà a reperire i fondi necessari per avviare il progetto. «Il bando di concorso: chi vuole partecipare deve pagare sei milioni di euro. Una cosa ti posso dire, che loro hanno duecento… due miliardi e mezzo. E quelli lì non bastano per fare il ponte», spiegava Zappia a Libertino Parisi. «Loro non hanno diritto di chiedere sei miliardi, sono in una posizione debole, che non si sa quando si fa il ponte. Loro devono dire, prima di poter dare, che vogliono sei miliardi. Devono avere il finanziamento organizzato! La posizione mia è che io posso finanziare il ponte!».
Zappia era certo di poter andare da solo, ma provava pure a tessere possibili alleanze con i colossi mondiali delle costruzioni. Nel corso di una lunga conversazione del 19 maggio 2004 con il mediatore cingalese Sivabavanandan, Zappia mostrava un certo interessamento al gruppo franco-canadese Vinci, in gara per il Ponte. «Ho appena finito di parlare con qualcuno per il finanziamento del ponte, e mi ha segnalato lo studio Vinci», dichiarava Zappia. «Hanno costruito un ponte di 14 miglia, e l’hanno costruito, finanziato e tutto il resto, al costo di 1,5 miliardi. E lo stanno ridando al Governo per un dollaro dopo 50 anni. Sto prendendo i loro prospetti e le persone. Sono miei amici stretti, sono in assoluto i costruttori numero uno in Canada e sono italiani. Sono da molto al mio fianco, da quando ho costruito il villaggio Olimpico a Montreal. Va bene, penso che Vinci sta pensando di prendere questo ponte». Lo interrompeva il cingalese: «Vogliono farlo in maniera indipendente o vogliono andare con qualcun altro?». Rispondeva Zappia: «No, lo faranno, non con qualcun altro, lo faranno con noi. Ma dovremo organizzare questo in maniera tale che otterremo alla fine lo stesso. Noi, in altre parole, dobbiamo finanziare l’intera cosa. La finanzieranno loro, in una situazione di spalleggiamento. Ma quello di cui loro sono preoccupati è ottenere il contratto».
Una breve pausa di riflessione e Zappia aggiungeva: «Penso che dovremo usare il principe qui, con l’uomo numero uno. Questo è come lo vedo io: se loro sono stati in grado di fare quel ponte, per 1,5 miliardi, dovrebbero essere capaci di fare questo qui per 2,5 miliardi. Loro daranno una piena, completa garanzia d’esecuzione con costi e tempi. Sono a Milano e in Francia, Vinci».(6) «Penso che dovremmo cominciare a parlare con loro», suggeriva Sivabavanandan. «Lo sto facendo ma non io, il mio uomo», rispondeva l’ingegnere. «Ti dico chi è il mio uomo, è quello che lavora alla situazione del Congo, dove io ho firmato il contratto per Inga, che dovrebbe essere in tribunale adesso». Il faccendiere cingalese si dichiarava d’accordo: «Sono contento che Vinci sta entrando, se puoi prendere Vinci a bordo possiamo mettere la J&P (società di costruzioni a livello internazionale N.d.A.) e la Vinci. Tutti possono trarre beneficio da una struttura piramidale, e il lavoro andrà veloce. Se abbiamo J&P e Vinci da una sola parte nessuno può dissestare. Questo è quello che ti ho detto ieri e l’altro ieri».
Il segreto d’onore
La società franco-canadese oscillava però da un partner all’altro e l’ipotesi della grande alleanza Vinci-Zappia sembrava dover naufragare. Il 26 giugno 2004, Giuseppe Zappia e Libertino Parisi si soffermavano su un articolo apparso sul quotidiano “Il Messaggero” nel quale erano indicate alcune società in gara per la realizzazione del Ponte di Messina. L’articolo riportava, tra l’altro, che la società Vinci, dopo aver dato la propria disponibilità a partecipare al consorzio guidato dall’azienda romana Astaldi S.p.A., aveva preferito alla fine la partnership con la concorrente Impregilo di Sesto San Giovanni. «Questi Vinci, sono pronti a venire con me, ma credo che non li prenderò», commentava astiosamente Zappia. «Perché loro vogliono venire a mettere moneta e della loro moneta non ne abbiamo bisogno. Vinci, lo può fare da solo. Questo te lo posso dire io soltanto: Vinci non ha il segreto mio».
Un segreto dunque. L’asso nella manica che concerne forse l’aspetto finanziario, i soci ancora “occulti” dell’imprenditore e della sua organizzazione. Il gruppo Zappia decise così di presentarsi da solo alla pre-selezione per il general contractor. Il 14 settembre l’ingegnere informava Sivabavanandan di essersi recato dall’avvocato Dalla Vedova. «Abbiamo finito la presentazione della situazione del ponte e la consegnerà lui stesso domani mattina presto perché apriranno l’intera cosa a mezzogiorno. Per questo dovrà essere lì per le 9, le 10…». Zappia esprimeva tuttavia la sua preoccupazione: «Una cosa che sento è che se loro aprono quelle richieste i giornalisti saranno lì e non c’è dubbio che il giorno dopo tutto sarà sui giornali». Il motivo del timore di Zappia emergeva chiaramente nella risposta di Sivabavanandan: «Sì, ma è buono perché la tua partnership, la tua associazione è segreta. Così non possono scoprire il tuo partner…».
Era Libertino Parisi a redigere la lettera con cui la Zappia International avanzava la sua proposta di partecipazione alla prequalifica. Tre cartellette dattiloscritte che pare abbiano lasciato un po’ perplessi gli esaminatori della società Stretto di Messina. Non solo per la loro lunghezza. Il piano tecnico-finanziario di Zappia & Soci prevedeva infatti un costo per la realizzazione dell’opera variabile tra i tre e i quattro miliardi di dollari e la consegna del Ponte nell’arco di tre anni grazie all’impiego di turni di lavoro notturno. La società “a capitale italo-arabo-canadese” si impegnava ad eseguire i lavori con costi e tempi tecnici di realizzazione inferiori del 50%, assemblando pezzi prefabbricati all’estero e senza ricorrere a subappalti.(7) Da qui l’esclusione del gruppo Zappia.
L’odore dei soldi
Quella che doveva rappresentare l’uscita di scena dell’ingegnere italo-canadese, si rivelava invece una tappa importante, più propriamente una svolta, nel tentativo di partecipare direttamente alla realizzazione del Ponte. Sono le telefonate effettuate subito dopo l’ufficializzazione dell’esclusione a indicare che Zappia aveva partecipato alla gara pur sapendo di non possedere i requisiti richiesti. Era però riuscito a mettersi in contatto con le imprese concorrenti di ben più solida competenza tecnico-organizzativa, proponendosi come indispensabile finanziatore dell’opera. I nomi delle società con cui l’ingegnere italo-canadese aveva preso contatti “diretti” o “indiretti” sono elencati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dai magistrati romani: ancora una volta Vinci (in associazione con Impregilo), la francese Bouygues (partner di Strabag), «nonché la società Fincosit in A.T.I. con Astaldi, che sarebbe stata indicata come società mafiosa da vari pentiti».(8)
Erano stati questi “contatti” a convincere Zappia del fatto che le società concorrenti non avrebbero potuto far fronte alla clausola del bando di gara che imponeva al general contractor una quota del finanziamento con risorse proprie pari ad almeno il 10% del valore dell’opera. L’ingegnere – o i suoi misteriosi soci arabi e nordamericani – potevano mettere invece sul tavolo l’intero importo previsto per la realizzazione del Ponte e delle infrastrutture di collegamento. «Questa è una situazione che mi aspettavo», rispondeva Zappia all’avvocato Carlo Dalla Vedova che gli comunicava l’esito negativo nella gara di prequalifica. «Ciò che ci serve è parlare con sua altezza reale. E tenere questa situazione con l’uomo numero uno. Così possiamo andare avanti. Quello che sta facendo la Astaldi, è che non ha soldi e non ci sta mettendo soldi. I suoi uomini ci metteranno dieci anni per fare il lavoro. L’intera questione è illegale perché non hanno i soldi per fare la cosa. Se e quando parleremo con sua altezza e l’uomo numero uno e diremo “abbiamo i soldi”, questi tizi saranno tirati fuori dall’affare». Nel prosieguo della conversazione Giuseppe Zappia spiegava meglio quali sarebbero stati i successivi “passi” da attuare: «Credo che quello che dovremo fare sia chiamare Ciucci… Chiamalo e poi fra l’altro il nostro amico Sivabavanandan arriverà domani sera. Perché lui ha parlato con sua altezza che è una persona lenta e non è uno che va di fretta».
Giuseppe Zappia ribadiva anche all’amico Parisi di non essere preoccupato per l’avvenuta esclusione. «Quello che c’ha il contratto generale può dare tutto a tutti quanti; tutto dipende da quanta moneta c’è», spiegava l’ingegnere. «Ma la moneta non ce l’hanno ancora. Questi sono tutti quelli che sono pronti a spartirsi la torta e inoltre, guarda, come dice lui, in quell’affare il contraente generale non è lui che sceglie. È insomma Ciucci che sceglie tutta questa gente. Il contrattore generale non fa niente e se non vuole e se può trovare un altro che gli fa la medesima cosa per metà prezzo, che fa insomma tutto il comando Ciucci». Come sottolineano i magistrati romani, Zappia conosceva appieno il ruolo e l’autonomia decisionale dell’amministratore delegato della società Stretto di Messina che, quale concessionaria, in base alla normativa del settore, ha ampi poteri di scelta per reperire parte dei capitali necessari.
Non c’era il tempo però di firmare un qualsivoglia accordo con una delle società rimaste in gara, né di accreditarsi come inesauribile banca del Ponte di fronte al Governo e ai dirigenti della Stretto S.p.A.. Il 12 febbraio 2005, il capo della Dda di Roma Italo Ormanni ed il pubblico ministero Adriano Iassillo ottenevano dal Gip cinque provvedimenti di custodia cautelare contro l’ingegnere Giuseppe Zappia, il cingalese Savilingam Sivabavanandan, il broker Filippo Ranieri, il faccendiere franco-algerino Hakim Hammoudi ed il boss siculo-canadese Vito Rizzuto. «In concorso tra di loro e con l’apporto determinante di Giuseppe Zappia – scrivono i magistrati – con mezzi fraudolenti e collusioni, turbavano la gara a licitazione privata alla scelta del general contractor; eliminando così la libera e regolare concorrenza tra varie ditte, con evidente lesione, quindi, degli interessi della pubblica Amministrazione». (9)
L’istruttoria era rapida e il processo Brooklyn, la mafia del Ponte iniziava il 16 marzo 2006 davanti alla sesta sezione penale del tribunale di Roma. Nel corso dell’udienza preliminare Sivalingam Sivabavanandan sceglieva di patteggiare una pena a due anni di reclusione. Zappia e coimputati devono spiegare l’origine dei miliardi di euro messi a disposizione delle aziende in gara. Del loro operato rispondono solo alla pubblica accusa. La società presieduta da Pietro Ciucci (che oggi è pure presidente dell’ANAS), i suoi azionisti di Stato, la pubblica Amministrazione i cui interessi sono stati lesi dalla presunta associazione mafiosa, hanno rinunciato a costituirsi parte civile.
Una proroga sospetta
Torniamo alla gara per la definizione del general contractor. il 18 aprile 2005, quarantotto ore prima della scadenza dei termini fissati dal bando, i vertici della Stretto di Messina S.p.A. decisero di concedere ai consorzi in gara un mese di tempo in più per la presentazione delle offerte. Le ragioni della benevola proroga restarono ignote, ma numerosi osservatori finanziari la giudicarono perlomeno discutibile, anche perché i tre mesi precedenti erano stati caratterizzati da altalenanti e contraddittori contatti tra i due colossi italiani capofila delle cordate in gara, l’Impregilo di Sesto San Giovanni e l’Astaldi di Roma.
Impregilo era al centro di una grave crisi finanziaria ed i vertici aziendali erano stati azzerati da un’inchiesta della procura di Monza per falso in bilancio, false comunicazioni sociali ed aggiotaggio (il procedimento è ancora in corso presso il Tribunale lombardo e vede imputati l’ex presidente d’Impregilo, Paolo Savona, e l’ex amministratore delegato Piergiorgio Romiti). Per evitare il tracollo finanziario i principali azionisti della società avevano invocato l’intervento del governo e delle banche creditrici, auspicando l’ingresso di nuovi e più solidi soci. Nel febbraio 2005 i manager Astaldi dichiararono la propria disponibilità a fornire 250 milioni di euro per ricapitalizzare la società di Sesto San Giovanni, ma la loro offerta veniva respinta. In Impregilo fece invece ingresso un consorzio, IGLI, costituito appositamente dai gruppi Argofin (10), Techint-Sirti (11), Efibanca (12) ed Autostrade S.p.A. (gruppo Benetton). (13) Efibanca, Techint e Sirti cederanno un anno più tardi la loro quota di IGLI a Salvatore Ligresti, il costruttore originario di Paternò a capo del gruppo assicurativo Fondiaria-Sai e della finanziaria Immobiliare Lombarda.
Sfumata l’ipotesi di una compartecipazione in Impregilo, Astaldi tornava al contrattacco proponendo alla “concorrente” un’alleanza strategica per la formulazione di un’unica offerta per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. «L’unificazione delle cordate per la gara del Ponte è un’ipotesi di buon senso», dichiarava Vittorio Di Paola, amministratore delegato di Astaldi, all’indomani dello slittamento del termine per la presentazione delle offerte. «Dopo la fuga di partner stranieri di entrambe le cordate e la scarsa convinzione degli altri – aggiungeva Di Paola – il buon senso vorrebbe che i due gruppi in qualche modo mettessero insieme le forze».
Ancora l’amministratore di Astaldi: «Quello che rimane delle due cordate non è sufficiente a realizzare un’opera come questa. Non è solo un fatto tecnico, c’è anche la necessità di prefinanziare il 20% dell’opera. La presentazione di un’offerta unica diluirebbe i rischi e servirebbe a recuperare la fiducia dei partner. Noi eravamo pronti a presentare l’offerta ma una proroga può far riflettere e favorire un processo di ricomposizione».(14)
La dichiarazione di Vittorio Di Paola non deve stupire più di tanto. Essa giungeva infatti qualche giorno dopo la decisione delle due società spagnole partner di Astaldi, la Necso Entrecanales Cubiertas SA e Ferrovial Agroman SA, di ritirarsi dalla gara per il Ponte. Inaspettatamente, anche il raggruppamento internazionale guidato dall’austriaca Strabag aveva comunicato di essersi ritirato dalla competizione. «Per noi era troppo alto il rischio che avremmo dovuto affrontare dal punto di vista legale, geologico e tecnico-finanziario», dichiarava Roland Jurecka, membro del consiglio d’amministrazione della Strabag.
Meglio soli che la turbativa
Il 2 maggio 2005, il nuovo consiglio d’amministrazione di Impregilo respingeva l’offerta di alleanza con Astaldi. Perché Impregilo ha rifiutato una proposta che avrebbe sicuramente comportato minori rischi e maggiori vantaggi di ordine finanziario e tecnico? Di certo c’è che nei giorni immediatamente precedenti alla riunione del Cda della società di Sesto San Giovanni, era stata depositata un’interrogazione parlamentare al Ministro delle Infrastrutture, a firma dei senatori Brutti e Montalbano (Ds). In essa si affermava che la presentazione di un’unica offerta da parte di Astaldi e Impregilo per il Ponte sullo Stretto «configurava un’effettiva turbativa d’asta e quindi l’irregolarità della gara».
Nell’interrogazione i due parlamentari raccontavano che dopo il ritiro della Strabag, i due raggruppamenti «iniziavano una trattativa con i buoni uffici di un noto avvocato, consulente legale dell’ANAS per la sorveglianza sui lavori dell’Impregilo, notoriamente legato da vincoli professionali ventennali con l’impresa Astaldi, per giungere, attraverso un rimescolamento delle carte, a presentare un’unica offerta in comune tra Astaldi e Impregilo, riducendo in tal modo ad uno il numero dei partecipanti effettivi alla fase conclusiva della gara stessa». Brutti e Montalbano aggiungevano che il rinvio dei termini della gara in questione «era stato fortemente sollecitato alla società Stretto di Messina da una delle due società concorrenti, indebolita nella sua composizione interna dall’uscita di un fondamentale partner francese». Sempre secondo gli interroganti, a tal fine il consiglio d’amministrazione della società concessionaria aveva inserito nel bando una clausola che consentiva di aggiudicare la gara anche in presenza di una sola offerta.
«Appare quanto meno sospetto un rinvio dei termini idoneo a far maturare un accordo tra i due concorrenti e la contemporanea decisione di modificare il bando al fine di rendere aggiudicabile la gara anche in presenza di una sola offerta, che sembra proprio spingere nella direzione dell’accordo tra i concorrenti», commentavano i senatori diessini. Infine si chiedeva al ministro Lunardi se non ritenesse che «il comportamento della società Ponte sullo Stretto sia stato gravemente lesivo degli interessi pubblici, avendo la società consentito, con il rinvio, proprio il perfezionamento dell’intesa tra i concorrenti, con un’evidente lesione della concorrenza e con danno al bilancio pubblico». (15)
Che fosse stato proprio il governo a sollecitare l’accordo tra le aziende italiane, lo avrebbe confermato qualche anno più tardi lo stesso premier Silvio Berlusconi. Nel corso di un comizio tenuto nel novembre 2008 durante la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo, Belusconi ha dichiarato: «Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto? Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio… Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche». L’episodio è stato raccontato dal giornalista Marco Travaglio su “L’Espresso” del 30 dicembre 2008. Come sottolinea lo stesso Travaglio, «se le parole hanno un senso, il premier spiega di avere – non si sa a che titolo – aggiustato una gara internazionale per far vincere Impregilo sui concorrenti stranieri, invitando quelli italiani a farsi da parte in cambio di altri appalti (pilotati anche quelli?)».
Quando alla scadenza del termine, giunsero le offerte delle uniche due cordate rimaste in gara, certe “anomalie” furono sotto gli occhi di tutti.(16) In meno di un anno si erano verificati cambiamenti rilevanti nelle composizioni dei raggruppamenti. Nell’associazione temporanea a guida Impregilo, ad esempio, non comparivano più la francese Vinci, numero uno mondiale del settore, che aveva il 20% delle quote al momento della sua costituzione nel giugno 2004, e la statunitense Parsons, definita dai manager Impregilo come «l’operatore con le maggiori competenze a livello mondiale nella progettazione e realizzazione di ponti sospesi». Nella cordata a guida Astaldi spiccava invece la scomparsa di una delle due società spagnole originarie (Ferrovial Agroman SA era poi rientrata nell’ATI), della giapponese Nippon Steal Corporation e delle italiane Pizzarotti e C.C.C. – Consorzio Cooperative Costruzioni. Vere e proprie fughe provvidenziali, verrebbe da dire, dato che hanno permesso la conclusione della gara per il Ponte diradando alcuni dei i dubbi di legittimità e regolarità.
Sul comportamento di Vinci, “avvicinata” dai faccendieri internazionali legati all’organizzazione criminale di Vito Rizzuto, erano piovute dure critiche da parte dei dirigenti di Astaldi, i quali, in più riprese, avevano rivendicato di aver sottoscritto un accordo in esclusiva con la società francese proprio in vista della realizzazione del Ponte. Il forfait di Parsons evitava invece che la transnazionale finisse nella ragnatela dei conflitti d’interesse che hanno segnato la stagione delle selezioni dei soggetti chiamati alla realizzazione del collegamento stabile. La controllata Parsons Transportation Group, a fine 1999, era stata nominata “advisor” dal Ministero dei lavori pubblici per l’approfondimento degli aspetti tecnici del progetto di massima del Ponte di Messina. La stessa Parsons Transportation Group ha poi partecipato al bando per il Project Management Consultant per la vigilanza delle attività di progettazione ed esecuzione del general contractor del Ponte. Se Parsons Transportation Group avesse vinto questa gara (cosa poi puntualmente verificatasi) e la società madre fosse rimasta associata ad Impregilo, la Stretto di Messina si sarebbe trovata nella spiacevole situazione di affidare i due bandi multimilionari ad una medesima entità, in cui avrebbero coinciso controllore e controllato.
Scelta quasi obbligata quella invece di Pizzarotti. Nel 2004, la società di Parma aveva stipulato con Todini Costruzioni Generali S.p.A. un contratto di acquisizione del ramo d’azienda comprendente la partecipazione nel Consorzio CEPAV Due, incaricato della realizzazione della nuova linea ferroviaria Milano-Verona. Si da il caso che contestualmente Todini Costruzioni aveva costituito insieme a Rizzani de Eccher e Salini Costruzioni, il Consorzio Risalto, uno dei soci dell’austriaca Strabag nella fase di pre-qualifica del Ponte sullo Stretto.
Perlomeno miracolosa l’uscita di scena del Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna. Originariamente la Lega delle Cooperative si vedeva rappresentata in entrambe le cordate in gara per i lavori del Ponte: con la CCC in ATI con Astaldi e con la CMC – Cooperatriva Muratori Cementisti di Ravenna in ATI con la “concorrente” Impregilo. Con l’aggravante che proprio la CMC risultava essere una delle 240 associate, la più importante, della cooperativa “madre” CCC di Bologna. Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e italiane in materia di appalti pubblici, le quali escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che «si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo», ovverossia di società tra esse «collegate o controllate». In particolare nel Decreto Legislativo del 10 gennaio 2005 n. 9, che integra e modifica le norme previste dalle leggi per l’istituzione del sistema di qualificazione dei contraenti generali delle «opere strategiche e di preminente interesse nazionale» si stabilisce che «non possono concorrere alla medesima gara imprese collegate ai sensi dell’articolo 3 della direttiva 93/37/CEE del Consiglio, del 14 giugno 1993». Lo stesso decreto afferma il «divieto ai partecipanti di concorrere alla gara in più di un’associazione temporanea o Consorzio, ovvero di concorrere alla gara anche in forma individuale qualora abbiano partecipato alla gara medesima in associazione o Consorzio, anche stabile».
L’ipotesi di violazione di queste norme da parte delle due coop è stato sollevato, tra gli altri, dalla parlamentare Anna Donati e ripreso dai maggiori organi di stampa nazionali. Il WWF, in particolare, è ricorso davanti all’Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiedere l’annullamento della gara. (17)
Mentre la Società Stretto di Messina sceglieva di non intervenire, alla vigilia dell’apertura delle buste per il general contractor, il Consorzio Cooperative Costruzioni scompariva provvidenzialmente dalla lista delle società della cordata Astaldi. Così la coop “madre” lasciava il campo alla coop “figlia” che si aggiudicava con Impregilo il bando di gara.
Ha vinto Impregilo!
«La gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo». Alla vigilia dell’apertura delle offerte delle due cordate in gara, nel corso di una telefonata con Paolo Savona (l’allora presidente della società di Sesto San Giovanni), l’economista Carlo Pelanda si dichiarava sicuro che sarebbe stata proprio l’associazione d’imprese guidata da Impregilo ad essere prescelta dalla Stretto di Messina per la costruzione del Ponte. Nel corso della stessa telefonata Pelanda sosteneva di avere avuto assicurazioni del probabile esito della gara dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già presidente di Publitalia ed amministratore delegato di Mediaset.
Sfortunatamente, il colloquio tra Paolo Savona e l’amico Carlo Pelanda è stato intercettato dagli inquirenti della procura di Monza nell’ambito dell’inchiesta per falso in bilancio e false comunicazioni sociali nella società di Sesto San Giovanni. Incuriositi dalla singolare vocazione profetica dell’interlocutore, i magistrati lombardi interrogarono l’ex presidente d’Impregilo, Paolo Savona, sul senso di quella telefonata. «Era una legittima previsione», risponderà Paolo Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». (18)
Carlo Pelanda, editorialista del “Foglio” e del “Giornale” – quotidiani del gruppo Berlusconi – ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Antonio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia. Pelanda era pure un intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno”, fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in primo grado a 9 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. (19)
In verità, le premesse per una vittoria d’Impregilo c’erano tutte. Basti pensare ai conflitti d’interesse che avevano turbato l’intero iter di gara. Come ad esempio quelli relativi alla composizione della Commissione nominata dalla Stretto di Messina S.p.A. per valutare le offerte e disporre l’aggiudicazione della gara. La necessaria “indipendenza” della Commissione fu messa in dubbio ancora dalla parlamentare Anna Donati, che in un’interrogazione presentata subito dopo l’ufficializzazione dei vincitori, rilevò come l’ingegnere danese Niels J. Gimsing, uno dei membri dell’organismo aggiudicatore, aveva fatto parte (dal 1986 al 1993) della commissione internazionale di esperti per la valutazione del progetto di massima del Ponte sullo Stretto; Gimsing aveva inoltre lavorato ininterrottamente dal 1983 al 1998, come consulente per la progettazione di gara e la supervisione lavori per la costruzione dello Storbelt East Bridge. (20)
Coincidenza vuole che il ponte di Storbelt sia stato progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui il raggruppamento temporaneo d’imprese guidato da Impregilo aveva affidato “in esclusiva” l’elaborazione progettuale del Ponte di Messina. Membro del Cowi Group è pure lo studio d’ingegneria Buckland & Taylor Ltd., con sede a Vancouver, altro progettista del Ponte sullo Stretto e di tutte le infrastrutture di collegamento similari disseminate in Canada, paese di Giuseppe Zappia. L’ingegnere Niels Gimsing avrebbe dovuto astenersi dal partecipare alla Commissione di gara per il general contractor, anche perché l’allora amministratore delegato della società Impregilo, Alberto Lina, era stato dal 1995 al 1998 presidente di Coinfra, la società dell’IRI che aveva partecipato come “fornitore” alla realizzazione in Danimarca dello Storebelt Bridge, insieme a Cowi, collaborando direttamente con il professionista danese.
L’ingegnere Niels J. Gimsing ha pure ricoperto il ruolo di membro della Commissione tecnica di aggiudicazione della gara per il ponte Stonecutters, Hong Kong. Si tratta di una struttura lunga 1.018 metri ed alta 300 che collegherà il porto commerciale di Kwai Chung con il nuovo aeroporto di Hong Kong. Ebbene, il progetto “Stonecutters” vede pure la firma dello studio Flint & Neill Partnership (Gran Bretagna) di cui è titolare l’ingegnere Ian Firth, altro componente della Commissione aggiudicatrice della gara per il general contractor del Ponte sullo Stretto. Firth aveva pure fatto da consulente per la Società Stretto di Messina per la redazione dei documenti tecnici di gara. Nel progetto di Hong Kong, il nome dell’ingegnere britannico compare come concept designer accanto a Cowi Consulting Engineers and Planners AS, controllata dall’omonimo gruppo danese, e allo studio canadese Buckland & Taylor. Ulteriore consulenza progettuale per il ponte di Hong Kong è stata pure fornita dalla società statunitense Maunsell AECOM, il cui project engineer è John Cadei, tra i membri della commissione nominata per l’aggiudicazione della gara per il Project Management Consultant del Ponte.
Un consulente autostradale
Altrettanto inopportuna è apparsa la nomina nella Commissione di gara per il general contractor dell’urbanista Francesco Karrer. Il professore Karrer è stato infatti consulente della Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco, gestore dell’omologo tunnel, in mano per il 51% alla finanziaria della famiglia Benetton, saldamente presente in Autostrade S.p.A. e nel consorzio IGLI-Impregilo. Karrer è poi consulente di R.A.V. – Raccordo Autostradale Valle d’Aosta, realizzatore e gestore del raccordo autostradale fra la città di Aosta e il traforo del Monte Bianco. Dell’autostrada Aosta-Monte Bianco il professore di Roma ha pure svolto lo studio di valutazione d’impatto ambientale. Il pacchetto di maggioranza di R.A.V. è in mano alla stessa Società Italiana per il Traforo del Monte Bianco della famiglia Benetton, mentre tra gli azionisti di minoranza compare il costruttore Marcellino Gavio, altro importante azionista di IGLI-Impregilo e della A.C.I. S.c.p.a. (Argo Costruzioni Infrastrutture Soc. consortile), in A.T.I. con la società di Sesto San Giovanni per i lavori del Ponte.
Le consulenze professionali di Francesco Karrer sono inoltre tra le più richieste dal gioiello di casa Benetton, Autostrade S.p.A., a capo di buona parte del sistema autostradale italiano. Il professionista è stato incaricato della costruzione del primo “bilancio ambientale” della società; sempre di Autostrade S.p.A., Karrer è stato consulente per il riavvio del progetto della Variante di Valico; “incaricato“ del coordinamento scientifico dello studio d’impatto ambientale del progetto di riqualificazione dell’Autostrada A14 e della Tangenziale di Bologna; “responsabile scientifico del S.I.A.” del progetto di adeguamento dell’Autostrada A1 nei tratti Aglio-Incisa e Firenze Sud-Incisa Valdarno. L’urbanista è stato anche membro della Commissione della Regione Veneto per la valutazione della proposta di realizzazione del cosiddetto “Passante autostradale di Mestre”, i cui lavori sono stati poi assegnati ad un consorzio guidato dalla solita Impregilo.
Ma nel curriculum vitae del professore Karrer spicca soprattutto la lunga opera professionale svolta a favore del Ponte: per conto della concessionaria Stretto di Messina, Karrer ha prestato la sua consulenza per la gestione degli studi ambientali connessi alla realizzazione dell’opera, mentre su incarico dell’Istituto Superiore dei Trasporti (ISTRA) ha coordinato lo studio dell’“opzione zero” (o “senza opera”) nell’ambito del SIA del progetto di attraversamento stabile. Nel 2002 ha pure ricoperto il ruolo di componente della commissione per l’aggiudicazione dei servizi relativi allo studio d’impatto ambientale (gara affidata ad un raggruppamento temporaneo d’imprese in cui compariva Bonifica S.p.A., società di cui Karrer è stato progettista e consulente).21 Un anno prima l’urbanista aveva pure collaborato allo studio finalizzato a valutare «gli effetti di valorizzazione e riorganizzazione territoriale a seguito della realizzazione del Ponte sullo Stretto», commissionato al CERTeT – Centro di Economia Regionale dei Trasporti e del Turismo dell’Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. Karrer è stato infine «vincitore, in associazione con l’Università Bocconi, PriceWaterhouse e Net Engineering, della gara internazionale indetta dal Ministero dei Lavori Pubblici per l’advisor sul progetto di attraversamento stabile dello Stretto di Messina (aspetti ambientali, territoriali-urbanistici, trasportistici e di fattibilità economica)».
L’Impregilo sul Ponte
Se poi si passa ad alcuni dei professionisti che sono stati membri del consiglio di amministrazione della Stretto di Messina S.p.A., sembra esserci più di un feeling con il colosso delle costruzioni di Sesto San Giovanni.
Nell’aprile del 2005, ad esempio, venne nominato quale membro del Cda della concessionaria del Ponte, il dottor Francesco Paolo Mattioli, ex manager Fiat e Cogefar-Impresit (oggi Impregilo), consulente della holding di Torino e responsabile del progetto per le linee ad alta velocità ferroviaria Firenze-Bologna e Torino-Milano di cui Impregilo ricopre il ruolo di general contractor. Dodici anni prima dell’incarico nella Stretto S.p.A., Francesco Paolo Mattioli era stato arrestato su ordine della Procura di Torino interessata a svelare i segreti dei conti esteri della Fiat, dove risultavano parcheggiati 38 miliardi di vecchie lire destinati a tangenti. Nel maggio ‘99 arrivò per Mattioli la condanna a un mese di reclusione, pena confermata in appello e infine annullata in Cassazione per «sopravvenuta prescrizione del reato».
Nel consiglio di amministrazione della società concessionaria sedeva al momento dell’espletamento delle gare il Preside della facoltà di Giurisprudenza dell’Università “La Sapienza” di Roma, prof. Carlo Angelici. Angelici era contestualmente consigliere di Pirelli & C. e di Telecom Italia Mobile (TIM), società di cui erano (e sono) azionisti i Benetton. Edizioni Holding, altro gioiello del gruppo di Treviso – attraverso Schemaventotto – controlla la Società per il Traforo del Monte Bianco, di cui è stato consulente l’ingegnere Karrer e membro del consiglio d’amministrazione un altro “storico” del Cda della Stretto di Messina, il direttore generale ANAS Francesco Sabato. Va poi rilevato che sindaco effettivo di Autostrade-Benetton è la riconfermata sindaco effettivo della Stretto di Messina, dottoressa Gaetana Celico.
Presenze “pesanti” anche all’interno di Società Italiana per Condotte d’Acqua, altro partecipante alla cordata general contractor del Ponte. Condotte d’Acqua è quasi internamente controllata dalla finanziaria Ferfina S.p.A. della famiglia Bruno. Ebbene, nei consigli d’amministrazione di Ferfina e di Condotte Immobiliare (la immobiliare di Condotte d’Acqua) compariva nel giugno 2005 il professore Emmanuele Emanuele, contestualmente membro del Cda della concessionaria statale per il Ponte.
Dal 2002, presidente della Stretto di Messina S.p.A. è l’on. Giuseppe Zamberletti, più volte parlamentare Dc e sottosegretario all’interno e agli esteri ed ex ministro per la protezione civile e dei lavori pubblici. Invidiabile pure la sua lunga esperienza in materia di grandi infrastrutture: Giuseppe Zamberletti è stato presidente del Forum europeo delle Grandi Imprese, uno degli interlocutori privilegiati della Commissione europea, mentre da più di un ventennio ricopre la massima carica dell’Istituto Grandi Infrastrutture (IGI), il “centro-studi” d’imprese di costruzione, concessionarie autostradali, enti aeroportuali, istituti bancari, per approfondire l’evoluzione del mercato dei lavori pubblici, monitorare le grandi opere e premere sugli organi istituzionali per ottenere modifiche e aggiustamenti legislativi in materia di appalti e concessioni a vantaggio degli investimenti privati. In questa potente lobby dei signori del cemento, compaiono quasi tutti i concorrenti alle gare per la realizzazione del Ponte.
Vicepresidente vicario di IGI al tempo delle gare del Ponte, il cavaliere Franco Nobili, trent’anni a capo della società di costruzione Cogefar del gruppo Gemina-Fiat (poi entrata a far parte di Impregilo), passato poi nel Cda della Pizzarotti di Parma, che ha integrato in un primo tempo la cordata guidata da Astaldi per il general contractor del Ponte. Dal 1989 al 1993 Franco Nobili ha pure ricoperto la carica di presidente dell’IRI, l’istituto – poi liquidato – a capo dell’industria statale nazionale e di cui è stato direttore generale e membro del Collegio dei liquidatori l’odierno amministratore delegato della Stretto di Messina, Pietro Ciucci.
Tra gli odierni vicepresidenti del consiglio direttivo dell’Istituto Grandi Infrastrutture ci sono i manager delle società entrate nel business del Ponte: Alberto Rubegni amministratore delegato d’Impregilo (recentemente condannato a 5 anni di reclusione nell’ambito del processo TAV Firenze); Pietro Gian Maria Gros, presidente di Autostrade-Benetton;, Vittorio Morigi, Ad del Consorzio Muratori Cementisti; Paolo Pizzarotti, a capo dell’omonima azienda di Parma; finanche il professor Carlo Bucci (in rappresentanza dell’ANAS, azionista di maggioranza della Stretto di Messina S.p.A.), consigliere d’amministrazione della concessionaria per il Ponte nel triennio 2005-2007.
Ci sono poi le aziende presenti nel consiglio direttivo dell’Istituto. Anche qui abbondano le società che hanno concorso su fronti opposti ai differenti bandi di gara per il Ponte sullo Stretto. Tra esse, ad esempio, Società Italiana per Condotte d’Acque (nell’ATI general contractor), più SATAP S.p.A.., società autostradale controllata dalla finanziaria Argos di Marcellino Gavio (azionista IGLI-Impregilo). All’interno di IGI anche Astaldi, capogruppo dell’ATI “contrappostasi” a Impregilo, con le associate Grandi Lavori Fincosit e Vianini Lavori dell’imprenditore-editore Caltagirone.
Uno dei prossimi maggiori impegni della Stretto S.p.A. sarà quello di ritoccare l’ammontare del contratto sottoscritto da Impregilo & socie; ferro e acciaio sono cresciuti vertiginosamente nel mercato internazionale, mentre altre voci di spesa potrebbero essere state sottostimate in fase di pre-progettazione. Date affinità e cointeressenze, chissà se alla fine, per comodità, non ci si veda tutti in Piazza Cola di Rienzo 68, sede dell’IGI e dei signori del Ponte.
Note
(1) Il general contractor o “contraente generale” è la figura nata con la cosiddetta “Legge obiettivo” (n. 190/2002) che regola tutte le Grandi Opere strategiche. Questa figura gode della “piena libertà di organizzazione del processo realizzativo, ivi compresa la facoltà di affidare a terzi anche la totalità dei lavori stessi”, una libertà, che si traduce anche nel fatto che “i rapporti del contraente generale sono rapporti di diritto privato”. Fortemente contestata da ambientalisti ed operatori economici, nel giugno 2006 il general contractor è stato duramente censurato dalla Commissione europea che lo ha giudicato «non conforme» al diritto comunitario in materia di appalti pubblici e «segnatamente alla direttiva 93/37/CEE e alla nuova direttiva 2004/18/CE, della disciplina del sistema di riqualificazione dei contraenti generali delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale».
(2) Tribunale Penale di Roma, Sezione dei Giudici per le Indagini Preliminari Ufficio 23°, Ordinanza di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nei confronti di Vito Rizzuto + 4, Roma, 22 dicembre 2004.
(3) M. Lillo e A. Nicaso, I grandi affari del Padrino del Ponte, “L’Espresso”, 22 febbraio 2005.
(4) I testi delle intercettazioni telefoniche ed ambientali riportate da qui in poi tra virgolette sono tratti da: Tribunale Penale di Roma, Ordinanza di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nei confronti di Vito Rizzuto + 4, cit.
(5) Il bando di gara per la pre-selezione del general contractor sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il successivo 15 aprile 2004. Veniva fissato come termine per la presentazione delle domande di partecipazione la data del 13 luglio 2004, poi prorogato al 15 settembre.
(6) Secondo quanto raccontato da Giuseppe Zappia ai magistrati romani, il “principe” sarebbe stato Bin Nawaf Bin Abdulaziz Al Saud, uno dei nipoti di re Fahd d’Arabia, personaggio legato da antica amicizia a Silvio Berlusconi. Per gli inquirenti, il “numero uno” sarebbe invece stato il boss mafioso Vito Rizzuto.
(7) A. Perrongelli, Le mani del clan Rizzuto sul Ponte di Messina, “Corriere Canadese”, 24 maggio 2005.
(8) Nell’ordinanza non vengono specificati i termini secondo cui i “pentiti” avrebbero fatto riferimento alla presunta mafiosità della società, né tantomeno risultano indagini relative a possibili collusioni con la criminalità organizzata.
(9) Tribunale Penale di Roma, Ordinanza di custodia cautelare in carcere e di arresti domiciliari nei confronti di Vito Rizzuto + 4, cit., p.4.
(10) Argofin è una società finanziaria controllata dal costruttore Marcellino Gavio, che opera principalmente nel settore della gestione di reti autostradali e delle costruzioni. Ad Argofin risale il controllo di due delle maggiori imprese di costruzioni italiane, Itinera e Grassetto.
(11) Techint è la holding della famiglia italo-argentina dei Rocca e controlla le società siderurgiche dello storico gruppo Dalmine e importanti acciaierie in America latina, Stati Uniti, Tailandia, Giappone e Cina. Sirti S.p.A. è il gruppo leader in Italia nel settore dell’impiantistica e telefonia fissa e cellulare, attivo anche nel settore dell’Alta velocità ferroviaria e dei sistemi militari avanzati (impianti di telecomunicazione e radio, ecc.).
(12) Efibanca è la merchant bank di BPI – Banca Popolare Italiana (ex Banca di Lodi), al centro delle cronache finanziarie (e giudiziarie) per l’assalto alla Banca Antonveneta.
(13) Nei mesi successivi alla presentazione dell’offerta per la gare del Ponte, Impregilo è stata oggetto di ulteriori scambi azionari. Nell’autunno 2005, è stato il colosso statunitense Hbk Investments ad entrare nel capitale della società con una quota del 2,29%. La Consob ha poi rilevato la scalata da parte della Banca Popolare di Milano, che ha prima portato la sua partecipazione nella società al 4,72%, per poi scendere nel marzo 2006 al di sotto del 2%. Nel febbraio 2006 ha invece fatto ingresso il gruppo finanziario italo-britannico Theorema Asset Management, rilevando il 2,13% del pacchetto azionario. Gli analisti finanziari hanno pure indicato un controllo su Impregilo da parte di uno dei maggiori gruppi finanziari internazionali, Morgan Stanley, che sarebbe giunto a controllare nel settembre 2005 l’8% del capitale azionario della società (5,25% in mano a Morgan Stanley International e 2,87% a Morgan Stanley & Co.). Un’acquisizione tutt’altro che limpida e lineare: chiamata in causa dal quotidiano Il Giornale di Milano in due articoli del 19 e 20 ottobre 2005 (Stanley Morgan veniva accusato di fare da «scudo a un possibile cavaliere mascherato»), il gruppo rispondeva con un ambiguo comunicato in cui dichiarava che «nessuna società del gruppo deteneva posizioni in Impregilo per le quali fosse necessario effettuare le comunicazioni previste dalla normativa di riferimento. La partecipazione complessivamente calcolata era infatti composta da posizioni detenute per conto di terzi a vario titolo, per le quali non esiste da parte di Morgan Stanley nessun obbligo di comunicazione».
(14) ”Astaldi: unificare le cordate”, Gazzetta del Sud, 20 aprile 2005.
(15) P. Brutti, Montalbano, Interrogazione parlamentare ai Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti e dell’Economia e delle Finanze, Legislatura 14º – Aula – Resoconto stenografico della seduta n. 791 del 03/05/2005.
(16) A conclusione della gara furono presentate le offerte dell’A.T.I. con capogruppo Astaldi S.p.A. e i mandanti Ferrovial Agroman SA, Maire Engineering S.p.A., Ghella S.p.A., Vianini Lavori S.p.A., Grandi Lavori Fincosit S.p.A.;; e dell’A.T.I. formata dalla mandataria Impregilo S.p.A. e dai mandanti Sacyr SA, Società Italiana per Condotte D’Acqua S.p.A., Cooperativa Muratori Cementisti-C.M.C. di Ravenna, Ishikawajima-Harima Heavy Industries CO Ltd., A.C.I. S.c.p.a. (Argo Costruzioni Infrastrutture Soc. consortile per azioni)-Consorzio stabile.
(17) WWF Italia, Richiesta di annullamento della fase di prequalifica e conseguente sospensione delle procedure di valutazione delle offerte per la scelta del General Contractor del Ponte sullo Stretto per violazione dell’art. 3 della Direttiva 93/37/CEE, Roma, 28 giugno 2005.
(18) L. Fazzo, F. Sansa, «Il Ponte? Lo vince Impregilo», parola di Marcello Dell’Utri, “La Repubblica”, 3 novembre 2005.
(19) Già consigliere di Francesco Cossiga nel settennato alla Presidenza della Repubblica, il 28 gennaio 1996 Carlo Pelanda ha partecipato assieme a Marcello Dell’Utri ad una conferenza dell’associazione “Il Buongoverno” a Mondello (Palermo). De “Il Buongoverno” è pure socio l’ex ministro Antonio Martino.
(20) “Il Sole 24 ore”, 11 giugno 2005.
(21) In particolare il professore Francesco Karrer ha curato per conto dell’A.T.I. Bonifica-Roksoil-Hydrodata il progetto di variante della strada per Gressoney (sul fiume Lys), in Valle d’Aosta. Rocksoil è la società di ingegneria dell’ex ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi.
(24 marzo 2009)[ad#co-9]
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