Un Mezzogiorno a diverse velocità, con ritardi da colmare e tendenze da incoraggiare. Un Mezzogiorno che non mostra ancora segnali di uscita dalla morsa della crisi, “zavorrato” com’è da deficit strutturali che non accennano a migliorare, da una persistente fragilità economica e patrimoniale del suo apparato produttivo, a iniziare da quello industriale nonostante alcune importanti eccellenze distribuite su tutto il territorio meridionale che ancora competono e crescono, da evidenti difficoltà a rispettare il cronogramma di spesa dei sostegni messi a disposizione dall’Europa.
Tutto ciò ha comportato un vero e proprio processo di polarizzazione degli squilibri interni ed esterni al Mezzogiorno che contrasta con la tendenza alla convergenza messa in luce da altri sistemi economici (ad esempio la Germania), finanche nel pieno della crisi.
Questo il quadro che si ricava dalla lettura del Check up Mezzogiorno, semestrale che ormai da anni rappresenta uno dei punti di riferimento di Confindustria per l’informazione sul Mezzogiorno e che a partire da questo numero viene realizzato congiuntamente dall’Area Mezzogiorno di Confindustria e SRM-Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo).
Gli squilibri riguardano i più diversi ambiti dell’economia e della società meridionale e si condensano in un valore del PIL pro capite inferiore del 41% rispetto a quello del Centro Nord, come accade senza apprezzabili cambiamenti da vari decenni a questa parte. Rispetto ai paesi dell’Unione Europea a 27 il dato del Mezzogiorno è inferiore di oltre il 31%. Tuttavia, se si guarda regione per regione si notano divari più ampi di quelli correlati al solo livello della ricchezza. Cosicché non deve stupire se quelle del Mezzogiorno sono tra le regioni più lontane dai target previsti da Europa 2020, ossia dalla strategia per la crescita, inclusiva e sostenibile, fondata sulla conoscenza. Sei delle dieci regioni con il più alto tasso di disoccupazione europeo sono nel Sud Italia, così come sono meridionali quattro delle dieci regioni a maggior rischio di povertà. E, ancora, la quota di spesa in ricerca e sviluppo sul PIL registra al Sud un modesto 0,9%, ben lontano dalla media UE-27 (1,92%) e ancor più dall’obiettivo fissato da Europa 2020 (3%).
Venendo ai comportamenti dell’industria meridionale (per il 95,8% costituita da unità produttive che hanno meno di 10 dipendenti) le analisi su un campione di 6.500 bilanci aziendali svolte da Intesa Sanpaolo confermano alcune sue consolidate criticità. Permane, infatti, elevato il gap in termini di efficienza della gestione industriale (misurata dal tasso di rotazione del capitale investito) sulla quale agiscono fattori interni all’impresa, legati alle scelte produttive e gestionali, ed esterni, riconducibili alle cosiddette “condizioni al contorno”. Inoltre, tra il 2007 e il 2009 è cresciuta sensibilmente (dall’11,7% al 29,9%) la quota di imprese che hanno visto compromesso l’equilibrio economico finanziario. Guardando, poi, alla velocità di uscita dalla crisi, si prevede che nel 2012 quasi la metà delle imprese meridionali non avrà ancora recuperato del tutto il terreno perso alla fine dello scorso decennio.
“Dalle analisi del Check up – osservano Confindustria ed SRM – si ricavano importanti indicazioni di policy, a cominciare dall’ urgenza di intervenire sui fattori di contesto, traducendo quanto prima in misure concrete gli impegni annunciati a più riprese dal Governo dall’autunno scorso (Piano per il Sud) ad oggi (Decreto sviluppo e Manovra finanziaria). Un livello di spesa dei fondi strutturali che di poco supera il 10% dei 43 miliardi assegnati al Mezzogiorno, come anche il progressivo prosciugamento delle risorse del FAS, tagliate per circa 5 miliardi di euro lo scorso anno e, si stima, per ulteriori 4 miliardi nel 2013-14, ci segnalano che senza un rinnovato impegno delle istituzioni, dell’Amministrazione e delle Parti sociali sarà arduo colmare i ritardi del Mezzogiorno ed imboccare stabilmente la via dello sviluppo. Allo stesso tempo occorre che si consolidino i “germogli” di vitalità che pur tra tante difficoltà stanno affiorando nella struttura produttiva meridionale. Non è un caso che gli atteggiamenti cooperativi si vadano via via rafforzando, come dimostra l’aumento della quota di imprese manifatturiere che ha fatto ricorso al contratto di rete per formalizzare accordi di cooperazione, passata dal 4,8% nel 2009 al 6,7% nel 2010”.
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