Al via questa mattina, nel nuovo Palazzo di giustizia di Palermo, il processo, con il rito abbreviato, a carico dell’ex ministro l’Agricoltura Saverio Romano, oggi deputato nazionale del Pid, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. A chiedere il rito abbreviato, ammesso dal gup Ferdinando Sestito, era stato lo stesso ex ministro, attraverso i suoi legali, gli avvocati Franco Inzerillo e Raffaele Bonsignore. “Mi fido del fascicolo del Pm, non c’e’ ragione per non scegliere questo rito”, aveva detto l’ex titolare dell’Agricoltura Saverio Romano, nel marzo scorso al termine dell’udienza. Romano è accusato da diversi collaboratori di giustizia di essere stato a disposizione della cosca di Villabate.
[banner size=”300X250″ align=”alignleft”]Il Gup Sestito ha anche fissato il calendario delle udienze per il processo all’ex ministro dell’ultimo governo Berlusconi. Oggi, a partire dalle 9.30, si terra’ la requisitoria dei Pm Nino Di Matteo e Ignazio De Francisci, il 10 luglio tocchera’ invece alle difese e infine per il 17 e’ prevista la sentenza. Nell’ultima udienza, durante la quale Romano ha scelto di essere processato con il rito abbreviato i difensori avevano chiesto l’acquisizione di una serie di articoli di giornale del 2005 nonche’ di una sentenza della Corte d’Appello di Palermo, documenti con i quali mirano a sostenere la tesi dell’inattendibilita’ dei pentiti Campanella e Lo Verso. Da questo momento in poi le udienze si svolgeranno a porte aperte per espressa richiesta dell’ex ministro: “Mi sembra giusto vista la mia funzione pubblica”, ha detto piu’ volte Romano sempre presente durante l’udienza preliminare. il pubblico ministero Nino Di Matteo nel corso dell’udienza ha chiesto otto anni di carcere per l’ex ministro l’ex ministro delle Politiche agricole. In sette ore di requisitoria Di Matteo ha ribadito che l’ex ministro, che non si è mai allontanato dall’aula, avrebbe «stipulato un patto politico-elettorale-mafioso con Cosa nostra», «contribuendo al rafforzamento dell’organizzazione mafiosa», e che avrebbe anche ottenuto «alle Politiche del 2001 il sostegno elettorale mafioso». «Il concorso esterno in associazione mafiosa non è un reato che non esiste – ha accusato Di Matteo concludendo la sua requisitoria-fiume e rispondendo al pg della Corte di Cassazione Francesco Iacoviello, che nel processo Dell’Utri disse che è un reato in cui nessuno crede – Il concorso esterno è l’applicazione giurisprudenziale di un principio fondamentale del diritto. È un reato che ha portato, in questo e in altri tribunali, alla condanna, anche definitiva, di diversi esponenti delle istituzioni, come gli ex funzionari di polizia Bruno Contrada e Ignazio D’Antone, ma anche gli esponenti politici come Franz Gorgone e Inzerillo, oppure di esponenti delle forze dell’ordine come il maresciallo Giorgio Riolo ed esponenti politici minori che stanno scontando una condanna per concorso esterno in associazione mafiosa». Di conseguenza, secondo Di Matteo, «abbiamo non solo il diritto ma anche il dovere di continuare a utilizzare questo strumento giuridico» «fino a quando si vorrà effettivamente incidere sul rapporto tra mafia e politica».
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