ROMA – “In tema di applicazione di misure coercitive in relazione al delitto” di associazione di stampo mafioso, “la partecipazione dell’indagato a episodi di estorsione compiuti nell’ambito di un contesto mafioso costituisce di per sé solo elemento gravemente indiziante di partecipazione al gruppo criminale, senza che siano necessarie ulteriori rappresentazioni di frequentazioni con altri associati”.
E’ quanto ribadisce la Cassazione, seconda sezione penale, in una sentenza depositata oggi con cui ha accolto il ricorso presentato dalla Procura di Napoli contro un’ordinanza del Tribunale di Napoli che disposto la scarcerazione di un indagato precedentemente disposta dal Gip; e ha rinviato il caso al Tribunale di Napoli per un nuovo giudizio. La Procura, ricorrendo alla Suprema Corte, ha mosso rilievi per la carenza e contraddittorietà della motivazione addotta dal Tribunale nell’ordinanza di scarcerazione, che – riassume la sentenza – “non tiene conto di quanto riferito dai collaboratori di giustizia, di quanto emerge dalle intercettazioni e di quanto e di quanto deciso sull’esistenza dell’associazione” di tipo mafioso. Rilievi che la Cassazione ha considerato fondati.
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