Con l’inizio dell’anno scolastico primi esami anche per i comuni italiani. La materia interrogata riguarda il livello di trasparenza della “filiera” della dei beni confiscati ai mafiosi. E i risultati degli esami non sono incoraggianti. Un passo indietro per i comuni siciliani. Su 204 comuni destinatari di beni confiscati, sono 143 i comuni che non pubblicano l’elenco e le informazioni su destinazione, uso e tipologia dei beni confiscati sul loro sito internet.
Ciò significa che ben sette comuni su dieci, pari al 69,1 % ( era 58% nel primo report), sono inadempienti. Va meglio per gli Enti sovra territoriali: le città metropolitane di Palermo e di Catania destinatariedi beni confiscati pubblicano gli elenchi. Bocciata la Regione Sicilia che non adempie in nessun modo all’obbligo di pubblicazione. La città metropolitana di Palermo, oltre all’elenco, pubblica sul sito anche i dati catastali, la tipologia, l’ubicazione, l’utilizzazione e la consistenza. La Provincia di Catania soltanto ubicazione e consistenza.
Libera presenta “RimanDATI”, il secondo Report nazionale sullo stato della trasparenza dei beni confiscati nelle amministrazioni locali, promosso in collaborazione con il Gruppo Abele e il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino.
Il Report di Libera (il monitoraggio ha avuto inizio nel mese di aprile 2022 e si è chiuso a luglio 2022) rappresenta uno spaccato importante – unico nel suo genere – sulla capacità degli Enti territoriali di rendere pienamente conoscibili e accessibili le informazioni sull’enorme patrimonio immobiliare sottratto alle mafie e destinato a tornare alla collettività attraverso comuni ma anche, sebbene in via sussidiaria, province, città metropolitane e regioni.
Un report che vuole accendere una luce sulla carente trasparenza e sulla mancata pubblicazione dei dati dei comuni italiani in merito ai dati sui beni confiscati che insistono sui loro territori, specificamente perché sono i comuni ad avere la più diffusa responsabilità di promuovere il riutilizzo dei patrimoni. Eppure, proprio a livello comunale, le potenzialità della “filiera della confisca” sono tuttora dense di ostacoli, criticità ed esitazioni.
La base di partenza del lavoro di monitoraggio – spiega Libera – coincide con il totale dei comuni italiani al cui patrimonio indisponibile sono stati “destinati” i beni immobili confiscati alle mafie per finalità istituzionali o per scopi sociali. Su 1.073 comuni monitorati ben 681 comuni italiani destinatari di beni immobili confiscati non pubblicano l’elenco sul loro sito internet, così come previsto dalla legge, pari al 63,5% del totale. Il primato negativo in termini assoluti spetta ai comuni del Sud Italia, comprese le isole, con ben 400 comuni che non pubblicano l’elenco; seguono il Nord Italia con 215 comuni e il Centro con 66 comuni che non pubblicano dati. La regione Sicilia è “rimandata”. Tra le regioni meno trasparenti segnaliamo la Calabria, dove solo il 18,8% dei comuni pubblicano l’elenco, a seguire l’Abruzzo e il Friuli Venezia Giulia (25%), la Sicilia (29,9%) e la Toscana (29,6%).
Un approfondimento è stato fatto sulla modalità di pubblicazione dell’elenco. Da cui dipende in maniera sostanziale la qualità dei dati messi a disposizione. Ai fini della nostra ricerca – che mira a stimolare la pubblicazione di dati pienamente e compiutamente fruibili e dunque in formato aperto – abbiamo considerato, nella percentuale dei comuni che pubblicano, esclusivamente quelli che lo fanno in formato tabellare. Tutte le altre tipologie di pubblicazione, nella valutazione complessiva, vengono associate alla categoria “elenco non presente”.La ricerca ha evidenziato in maniera piuttosto evidente come la logica degli open data sia ancora estranea alla stragrande maggioranza degli enti monitorati. Soltanto 6 Comuni che pubblicano usano un formato aperto (tra cui: la città di Catania, la provincia di Catania e la città metropolitana di Palermo); 45 hanno un pdf ricercabile, mentre 12 hanno messo on line un pdf scansione.
“Garantire che la filiera del dato sui beni confiscati sia trasparente – dichiara Tatiana Giannone, referente nazionale Beni Confiscati di Libera -. Vuol dire dare spazio al protagonismo della comunità e della società civile organizzata. Che solo conoscendo può progettare e programmare nuovi spazi comuni. Alla conoscenza del patrimonio e del territorio, del resto, è strettamente legata la capacità di utilizzare i fondi pubblici. Per la valorizzazione dei beni confiscati, nella fase di ristrutturazione e in quella di gestione dell’esperienza di riutilizzo.
In questi quarant’anni dalla Legge Rognoni – La Torre e ventisei anni di attività della Legge num. 109, dinanzi a importanti risultati raggiunti in termini di aggressione ai patrimoni delle mafie, della criminalità economica e della corruzione. A fronte delle sempre più numerose esperienze positive di riutilizzo sociale, non si deve abbassare l’attenzione. Sia sulle criticità ancora da superare sia sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti.
Il bando del PNRR e la nuova programmazione europea delle politiche di coesione saranno, quindi, un banco di prova importante per le istituzioni tutte. Ma soprattutto per il potere di monitoraggio della società civile. Siamo consapevoli – conclude Tatiana Giannone di Libera – della complessità della materia e delle difficoltà che gli Enti Locali sono costretti ad affrontare quotidianamente. Sia in termini di carichi di lavoro che di risorse umane e di competenze a disposizione. Ma siamo convinti che, insieme, si possano e si debbano trovare le soluzioni utili a garantire la trasparenza.
Con lo stesso spirito di costruzione e cooperazione, avanziamo alcune proposte politiche a partire dall’impegno dell’Agenzia nazionale nel supportare le amministrazioni comunali. Riteniamo che si possa raggiungere una qualità del dato più alta usando dei modelli di elenco uguali per tutti. In questo modo la trasparenza diventerà veramente una pratica condivisa e partecipativa. Chiediamo che si possano progettare e realizzare dei percorsi di accompagnamento e formazione dei Comuni. Soprattutto quelli più piccoli, per rendere i beni confiscati presidi di sviluppo sociale ed emancipazione per la comunità”.
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