di Nino Amadore
Un asse tra il Nord e il Sud per far fronte alle infiltrazioni criminali, all’assedio delle cosche mafiose che oggi non risparmia alcuna parte del paese. Sono stati gli artigiani della Cna, questa volta, a farsene promotori: la federazione di Palermo ha saldato l’asse con i colleghi di Reggio Emilia. Anche in questo caso, come è avvenuto alla presentazione del libro tratto da una ricerca della Fondazione Res "Alleanze nell’ombra, Mafie ed economie locali in Sicilia e nel Mezzogiorno" edito da Donzelli (540 pagine, 29,50 euro) e curato da Rocco Sciarrone, è riemerso il mutamento mafioso, la finanziarizzazione di Cosa nostra, lo sviluppo di business più o meno tradizionali in aree territoriali nuove. Ma soprattutto è ormai evidente il diffondersi dei modelli etici di contrasto nella società palermitana sulla scia di quanto fatto da Confindustria Sicilia.
Le associazioni imprenditoriali (non tutte) si pongono il problema di come creare anticorpi contro le mafie in presenza, sono parole del procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia, «di leggi inadeguate».
Alle imprese (prima della Cna anche l’Ance di Palermo ha adottato un ferreo codice antimafia) e alle cooperative (sulla legalità ha puntato nei giorni scorsi la Coop 25 aprile nella sua assemblea annuale) si aggiungono i professionisti: l’ordine degli ingegneri ha avviato un percorso su iniziativa di Giovanni Margiotta e altri e in collaborazione con il Dems guidato dal penalista Govanni Fiandaca per arrivare a definire un codice e procedure per perseguire gli ingegneri accusati di favoreggiamento o collusione a vario titolo con le mafie. L’altroieri gli ingegneri hanno deliberato l’adozione di un codice deontologico stringente. Ci sono, dunque, altre alleanze che si prefigurano nel palermitano magari proprio sulla scia dell’appello lanciato dal presidente di Confindustria Palermo Alessandfro Albanese proprio all’assemblea della 25 Aprile: «Mettiamo insieme tutte le imprese per creare una rete antimafia forte». Una dinamica cui non tutti ovviamente partecipano. Le associazioni dei commercianti (Confcommercio e Confesercenti) proprio perché primo fronte delle richieste antiracket hanno da tempo avviato un’opera di sensibilizzazione con un impegno che è sotto gli occhi di tutti ma resta anche chiaro che non tutte le associazioni imprenditoriali sono disponibili a impegnarsi su questo fronte.
L’impegno antimafia ha portato già alcuni risultati positivi, come ha raccontato il presidente della Cna di Palermo Giovanni Casamento: «La Cassa edile di Palermo ha deliberato un sostegno concreto, con l’abbattimento del 20% del contributo, per quelle aziende che hanno denunciato il racket». Fa parte anche questo di una forma incentivante che proviene dalla sfera del privato che si aggiunge ad altri incentivi che sono già contenuti in altre misure legislative. Anche se il top, come sostiene il senatore del Pd Beppe Lumia, può essere quello di pensare a rafforzare le sanzioni per chi non denuncia e di ragionare su una legislazione premiale per chi invece sceglie la strada della denuncia delle collusioni e del racket mafioso. Che sia necessario ancora di più un impegno forte di vigilanza e di impulso nella battaglia contro le mafie lo si evince dalla lucida analisi del procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia, secondo cui la legislazione attuale rischia di essere un po’ zoppa rispetto al sopravanzarsi di mafie che usano le tecniche finanziarie:«Il cosiddetto codice antimafia, pur avendo alcune norme pregevoli e importanti – dice Ingroia – è stato rispolverato dai cassetti dove si trovava da tempo: io stesso ho fatto parte della commissione che ha redatto il testo base quando il ministro della Giustizia era Giovanni Maria Flick e il presidente Romano Prodi, il primo governo Prodi. Manca ancora nella nostra legislazione un adeguato codice antiriciclaggio e manca la norma che punisce l’autoriciclaggio. Il nostro paese, inoltre, non ha recepito la direttiva europea sulla reciprocità in materia di sequestri e confische ai mafiosi pertanto è molto complicato intervenire in altri paesi europei e perseguire i patrimoni mafiosi. Siamo stati e siamo molto forti con la mafia militare ma non lo siamo abbastanza con la mafia evoluta, quella che fa impresa e investe». Il protocollo di legalità della Cna palermitana è ancora un intervento tra le imprese più piccole dunque più esposte sul piano del ricatto e dell’assoggettamento, soprattutto in settori che fanno gola alla mafia: quello edile e quello dei trasporti. «Vogliamo essere guida – spiega il segretario provinciale Sabastiano Canzoneri – in un percorso di legalità. Mettiamo a disposizione la nostra esperienza per aiutare i colleghi a comprendere meglio il fenomeno». Gli emiliani confermano la necessità di comprendere meglio i fenomeni pur avendo già operato sulla base del codice etico. «È importante per noi il confronto» spiega il presidente della Cna di Reggio Emilia Tiziano Mussini. Mentre Enrico Bini, presidente della Camera di commercio e protagonista di una battaglia contro le infiltrazioni mafiose che gli è già costata qualche minaccia conferma l’impegno ad andare avanti. E Ingroia chiude sarcastico: «Abbiamo avuto il codice etico degli industriali, ora abbiamo il codice etico degli artigiani, aspettiamo ancora il codice etico della politica». Già.
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