di Nino Amadore
La procura antimafia di Milano sta valutando se applicare le norme sulla sospensione temporanea dalle funzioni, così come previsto dall’articolo 3 quater della legge 575/1965, anche per i professionisti. Lo ha detto recentemente, nel corso di un convegno su “Strumenti di prevenzione della criminalità d’impresa e della criminalità mafiosa” organizzato dal Dems (il dipartimento di studi europei e dell’integrazione aziendale dell’Università di Palermo diretto dal professore Giovanni Fiandaca) che si è tenuto a Palermo, il sostituto procuratore Paolo Storari. Secondo i magistrati del pool antimafia della procura meneghina, guidato dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, l’elemento che dà la possibilità di intervenire anche nel caso dei professionisti con provvedimenti riservati in genere alle imprese va individuato nelle previsioni normative contenute del decreto legislativo 231/2007, che introduce l’obbligo di segnalazione di operazioni finanziarie sospette e in generale misure per la lotta al riciclaggio con particolare riguardo al comportamento dei professionisti. «Sembra meritare una approfondita riflessione – ha detto il magistrato milanese nel suo intervento a Palermo (peraltro in sostituzione di Ilda Boccassini impegnata quel giorno a Milano) – la questione dell’applicabilità dell’articolo 3 quater della legge 575/1965 ai professionisti indicati nell’articolo 12 del decreto legislativo 231/2007, sia quando esercitano l’attività in forma individuale che in forma associata, attraverso studi associati, da considerare centro di imputazione di interessi dotato di autonoma soggettività». In pratica, sembra di capire, i magistrati milanesi ipotizzano che la mancata segnalazione di operazioni sospette rappresenti una condotta agevolativa per gli esponenti della criminalità organizzata o i loro prestanome così come è possibile cogliere con chiarezza nel comma 2 dell’articolo 3 quater della legge 575/1965 innovato dall’articolo 9 della legge 108/1996. A supporto di questa ipotesi di lavoro i magistrati milanesi portano una sentenza della Corte di Cassazione (la 8853/07) secondo cui «lo studio professionale associato, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali le società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi europei di interesse economico di cui i liberi professionisti possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi in giudizio in persona dei loro componenti o di chi ne abbia la legale rappresentanza secondo l’articolo 36 del codice civile». Una sentenza, questa, che aiuta i magistrati milanesi (che sembrano essere gli unici in questo momento ad essersi posti questo tipo di problema) a cogliere anche l’evoluzione giurisprudenziale valutando anche all’applicazione delle sanzioni previste dal decreto legislativo 231/2001, che prevede modelli organizzativi ai fini della prevenzione di attività criminali all’interno degli enti(imprese e secondo questa interpretazione anche studi professionali): «Ovvio – dicono i magistrati milanesi – che tale qualifica dello studio associato (quella data dalla Cassazione ndr), in presenza dei relativi presupposti, potrà portare alla applicabilità del comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 231/2001 che si riferisce appunto alle associazioni prive di personalità giuridica». Secondo la gran parte degli addetti ai lavori, questo tipo di impostazione, che punta stroncare i presupposti delle infiltrazioni mafiose in economia, si colloca sulla scia degli insegnamenti e delle iniziative che furono avviate da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino.
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