“Se un nostro studente si arrischia a scrivere una roba del genere in una tesi di laurea da noi, a Palermo, non supera l’esame”. E’ uno dei passaggi dell’articolo pubblicato oggi dal Giornale di Sicilia dal titolo “L’Antimafia dell’Ars e le indagini a rischio propaganda” che porta la firma di Costantino Visconti, professore ordinario di diritto penale nell’Università di Palermo.
Il riferimento del professore è a un passaggio dell’ultima relazione della commissione parlamentare antimafia guidata da Claudio Fava e dedicata al tema complesso dei beni confiscati alla mafia. Un lungo pezzo che di fatto demolisce la logica delle relazioni della commissione : Fava, dopo aver perso le elezioni per la presidenza della Regione (è arrivato terzo) da presidente della commissione Antimafia “ha inanellato tre preziosissime relazioni frutto di lunghe e impegnative attività di indagine su questioni assai scottanti – scrive Visconti -: il caso Montante, il caso Antoci e ora un capolavoro di scienza giuridico-sociologica dedicato all’annoso tema della gestione dei beni confiscati”.
E poi l’analisi sulle relazioni. “la prima indagine (quella dedicata a Montante ndr) addirittura raccolta in un elegante libricino pubblicato a spese dell’Ars dal titolo “Il sistema Montante”, è in verità una sorta di vademecum del gossip burocratico parlamentare siciliano. Con picchi di approfondimento storico-politico e anche di autoterapia di gruppo straordinari – scrive Visconti -. Ma bisogna anche apprezzare l’intento, anche autocritico del presidente Fava, ben condensato dalla chiusa finale: “insomma sapevamo. E abbiamo tollerato”.
La commissione raggiunge l’acme della temerarietà, spiega il professore Visconti, con l’indagine sul caso Antoci, l’ormai ex presidente del parco dei Nebrodi: “Contro ogni evidenza accertata – si legge – con ben altri mezzi dall’autorità giudiziaria. Fava è sospettoso: non crede che sia stata la mafia ad attentare balla vita di Antoci e crede che in quella vicenda qualcuno abbia barato. E così ha costretto la procura di Messina a riaprire le indagini che secondo fava non erano state fatte bene. Conclusione? Uno schiaffo delle autorità giudiziarie messinesi ai novelli investigatori travestiti da deputati siciliani. I magistrati, tra l’altro, affermano che la commissione ha indagato verso due soluzioni, che appaiono aprioristiche, se non preconcette: che non si sia trattato di un fatto di mafia; che si sia trattato di una messainscena, della quale peraltro ma senza fornire sul punto alcun argomento sarebbe stato all’oscuro Giuseppe Antoci. E che come dilettanti allo sbaraglio i deputati hanno valorizzato i rumors raccolti dai giornalisti e iu contributi di sedicenti esperti. Ma vi immaginate il decoro per le istituzioni?”
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E infine la relazione sui Beni confiscati. “Non pago di questi eccellenti risultati – scrive Visconti – il presidente Fava si è infine dedicato al tema controverso della gestione dei beni confiscati. L’intuizione è giusta. Da decenni le Università siciliane e gli altri studiosi italiani se ne occupano a fondo. Ma anche in questo caso viene preferito lo stile della sceneggiatura a quello del cauto approfondimento documentale”. Il giudizio di Visconti sul lavoro della commissione Antimafia è severo: “E così – scrive Visconti – si rintracciano passaggi imbarazzanti: “Il problema non è la chiusura dell’azienda ma la tutela dei lavoratori. Gli amministratori giudiziari fanno riferimento alla continuità aziendale, raramente fanno riferimento al lavoro, la prosecuzione del lavoro viene vista solo come una prosecuzione di bilancio”. Sinceramente se un nostro studente si arrischia a scrivere una roba del genere in una tesi di laurea da noi, a Palermo, non supera l’esame”.
E infine. “In conclusione: la buona fede del presidente Fava la diamo per scontata, ma quel ruolo non fa per lui – scrive Visconti -. E’ troppo catturato dalle storie e dalle sceneggiature, laddove ci vorrebbe, appunto, maggiore umiltà per comprendere le cose come stanno senza far propaganda. Una poltrona da presidente non val bene una messa! E poi: quando non si amano i siciliani, né i buoni né i cattivi, è meglio non pretendere di rappresentarli. Meglio lasciar perdere. Ci guadagneremmo tutti e soprattutto le nostre malandate istituzioni”.
Scopri di più da Nino Amadore
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