Il 1° marzo scorso il Consiglio dei ministri annunciava solennemente di avere approvato il testo del disegno di legge governativo per una legge anticorruzione. Doveva essere la risposta della maggioranza alle nuove Tangentopoli (l’ultima, quella intorno alla Protezione civile) esplose nei primi mesi dell’anno un po’ in tutta Italia e ai dati agghiaccianti forniti dalla Banca Mondiale e poi dalla Corte dei Conti, secondo cui le tangenti, con tutto l’indotto, impongono ai cittadini italiani una tassa occulta di 50-60 miliardi di euro all’anno. Cifra record in Europa, quasi il decuplo del costo della corruzione stimato dal centro studi Luigi Einaudi nel 1992, l’anno di Mani Pulite. Ma il testo, scritto dal ministro Angelino Alfano e dunque molto deludente, si è subito arenato in commissione al Senato e lì riposa in pace, nonostante i propositi di rilanciarlo più volte dichiarati dal Pdl all’esplodere di ogni nuovo scandalo, dal caso Scajola all’affaire P3. “Il Senato – giurava Gaetano Quagliariello, vicepresidente dei senatori del Pdl, al Corriere della sera il 20 maggio – licenzierà il provvedimento verso metà giugno”. Ma non precisava di quale anno.
L’altro giorno, a Mirabello, Gianfranco Fini ha domandato sarcastico al Cavaliere che fine abbia fatto la legge anticorruzione. Silenzio di tomba. Silenzio anche da Renato Schifani, che pure presiede il Senato dove langue il ddl. Del resto, sempre al Senato, è stata insabbiata la legge di iniziativa popolare presentata da Beppe Grillo con 350 mila firme di altrettanti cittadini per stabilire l’ineleggibilità dei condannati.
Il Fatto quotidiano ha deciso di proporre un nuovo testo, molto più rigoroso e penetrante di quello governativo. E di interpellare i rappresentanti dei partiti nel dibattito “Convivere con la corruzione”, domenica mattina alla Versiliana di Marina di Pietrasanta, con Antonio Di Pietro (Idv), Claudio Fava (Sinistra e libertà), Fabio Granata (Futuro e Libertà) e Matteo Renzi (Pd). Lì si discuterà e si vedrà chi ci sta: potrebbe perfino emergere una maggioranza disposta ad approvarlo in tempi brevi, se – come dichiarano – il Pd, l’Idv, l’Udc e i finiani vogliono fare sul serio contro la corruzione, sfidando su un terreno tanto cruciale e “popolare” la Lega e il Pdl. All’incontro dovrebbe partecipare anche il procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco, grande esperto di reati finanziari e contro la Pubblica amministrazione.
Il testo che abbiamo elaborato con l’aiuto di giuristi, magistrati e altri esperti non ha richiesto grandi sforzi di fantasia. E’ stato sufficiente seguire alcune linee direttrici.
1) Prevedere finalmente il recepimento della Convenzione penale del Consiglio d’Europa sulla corruzione, sottoscritta a Strasburgo dagli stati membri nel 1999 e mai ratificata dall’Italia.
2) Introdurre nuove fattispecie di reato per sanzionare i più moderni crimini dei colletti bianchi nell’èra della globalizzazione (come l’autoriciclaggio,la corruzione fra privati, il traffico di influenze illecite).
3) Ripristinare il falso in bilancio sciaguratamente abolito, di fatto, dal secondo governo Berlusconi nel 2001-2002.
4) Mettere mano al sistema della prescrizione (che in questo testo viene affrontata solo in parte): l’ideale sarebbe arrestarne la decorrenza al momento dell’esercizio dell’azione penale, cioè della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pm. Oggi, grazie alla legge ex-Cirielli, la corruzione si prescrive 7 anni e mezzo dopo che è stata commessa, e quella giudiziaria dopo 10 (prima scattava dopo 15 anni).
5) Cogliere il meglio dalla miriade di proposte e disegni di legge giacenti in Parlamento e ivi insabbiati da varie legislature (due del Pd, uno dell’Idv, uno quasi preistorico dei Verdi e persino uno dell’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, nato dal lavoro di una commissione istituita nel 2006 dal governo Prodi-2, di cui facevano parte magistrati di Mani Pulite come Piercamillo Davigo e lo stesso Greco).
6) L’idea di partenza è quella avanzata per la prima volta a Cernobbio nel settembre del 1994, in piena Tangentopoli, dal pool Mani Pulite e da un gruppo di giuristi e docenti universitari (fra i quali l’attuale presidente dell’Unione Camere penali, Oreste Dominioni, all’epoca legale di Berlusconi). La proposta Cernobbio era articolata in tre punti. A) Legislazione premiale per incentivare il “pentitismo” anche in questo tipo di reati, cioè per incoraggiare il corruttore o il corrotto che va spontaneamente a confessare e a denunciare i suoi complici, “prima che la notizia di reato sia stata iscritta a suo nome e comunque entro tre mesi dalla commissione del fatto”. Sempreché restituisca il maltolto fino all’ultima lira. E con la sanzione automatica della decadenza e dell’interdizione dai pubblici uffici. In pratica, si rompe il vincolo di omertà fra corruttore e corrotto e si innesca una corsa a chi arriva prima a denunciare se stesso e l’altro per guadagnarsi l’impunità. L’obiettivo era quello di far emergere gran parte del sommerso di Tangentopoli, evitando ricatti e veleni. B) I reati di corruzione e concussione diventano uno solo: è vietato offrire e dare soldi a un pubblico funzionario, non importa se costretti o spontaneamente, né in cambio di quale favore lecito o illecito. C) Linea dura con chi arriva fuori tempo massimo, o non confessa tutto, o viene colto con le mani nel sacco; custodia cautelare obbligatoria per corrotti e corruttori, come per i mafiosi, con sostanziosi aumenti delle pene. Sedici anni fa la proposta suscitò reazioni entusiastiche da An e dalla Lega.
Ignazio La Russa stuzzicò i forzisti perplessi: “Che il progetto Di Pietro potesse essere sconosciuto a Forza Italia mi sembra poco credibile, anzi resto convinto che i vertici ne fossero informati: vi hanno collaborato alcuni avvocati vicini a loro…” (per esempio Dominioni, allora difensore di Berlusconi). Maroni e Tremonti incontrarono i pm promotori e alla fine il primo parlò di “iniziativa interessante da discutere fra magistrati e governo”.
Che cos’è cambiato da allora a oggi, a parte il fatto che allora Tangentopoli ci costava 6-7 miliardi l’anno e oggi dieci volte tanto? Ecco dunque la proposta di legge in 10 articoli che Il Fatto mette a disposizione di tutte le forze politiche interessate a prevenire e a combattere per davvero la corruzione. Per evitare di scendere in eccessivi tecnicismi, non tutti gli articoli sono già esplicitati in forma di articolato legislativo: lo sono soltanto quelli che ci paiono irrinunciabili. Tutti e dieci, comunque, sono aperti a integrazioni e suggerimenti. Purchè migliorativi e non peggiorativi.
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