“A venti anni dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio, la migliore risposta che lo Stato può dare alla mafia, per rendere davvero giustizia alle vittime e ai familiari, assieme alle commemorazioni è quella restituire ad una vita sana i beni confiscati a Cosa nostra”.
Lo sostiene l’Ance Sicilia, secondo cui “abbandonare migliaia di immobili al degrado, consentire che aziende gestite da commissari pubblici falliscano dopo tentativi di rilancio senza successo, assegnare beni a enti e associazioni che poi non sono in grado di utilizzarli, sono azioni che segnano una pesante sconfitta per tutti coloro che quotidianamente lottano contro l’oppressione mafiosa e gli inquinamenti criminali nella finanza e nell’economia”.[banner network=”altervista” size=”300X250″]
Gli imprenditori edili rilevano con preoccupazione che “le critiche del delegato nazionale di Confindustria per la legalità, Antonello Montante, al sistema pubblico sulla gestione dei beni confiscati, e la sua proposta di valorizzarli per il bene comune non hanno avuto pratico riscontro, dopo qualche pur rilevante apprezzamento. Ciò dispiace, soprattutto perché anche il governo Monti, e in particolare il ministro Giarda, hanno messo sotto osservazione la scarsa efficienza della pubblica amministrazione, la cui lentezza si riflette anche sulla gestione dei beni confiscati”.
L’Ance Sicilia, dunque, propone al governo nazionale una duplice soluzione che consenta di soddisfare tutte le esigenze.
“Occorre distinguere fra le aziende e gli immobili non facenti parte di imprese. Per questi ultimi è necessario attivare un percorso chiaro: i beni che possono servire realmente a enti pubblici e associazioni in grado di utilizzarli risparmiando sugli affitti, siano assegnati senza indugio e in via definitiva, prevedendo anche i fondi per gli interventi di riqualificazione che li rendano presto agibili; gli altri siano offerti al libero mercato, ponendo sotto osservazione di protocolli di legalità gli acquirenti. Il ricavato sia destinato al finanziamento dell’azione di contrasto alla mafia”.
Quanto alle aziende confiscate, l’Ance Sicilia osserva che “senza un piano industriale vero e in assenza di capitali di rischio e di management preparato, diventa arduo tenerle sul mercato e salvare i posti di lavoro”.
Per queste ragioni l’Ance Sicilia reputa necessario “individuare, fra quelle esistenti, un’Autorità indipendente, sganciata da vincoli politici e burocratici e che dovrà rispondere solo al Parlamento, con il compito di coordinare la nascita di reti e consorzi omogenei per categorie merceologiche fra imprese sane che abbiano fornito prova di trasparenza ed integrità. Utilizzando la competenza di questi soggetti l’Autorità dovrà redigere progetti industriali, da verificare con le organizzazioni sindacali, per definire i percorsi di rilancio produttivo senza alimentare false aspettative tra i lavoratori, considerando che le aziende da riattivare dovranno necessariamente avere organici commisurati alla reale esigenza produttiva”.
In alternativa, l’Autorità potrà procedere “all’affitto dell’impresa ad una azienda della stessa categoria merceologica gestita con bilanci sani e soprattutto, con percorsi trasparenti”.
Così l’Ance Sicilia pensa che “si possa dare una seria e definitiva svolta all’annosa questione della gestione dei beni e soprattutto delle aziende confiscate alla mafia, senza ulteriori penalizzazioni. Salvare posti di lavoro deve essere un impegno prioritario per tutti, ma senza creare false illusioni destinate a spegnersi, spesso, nell’arco di mesi o anni. E’ necessario essere molto chiari anteponendo a tutto un progetto al quale potrà seguire una speranza. Senza progetto non c’è futuro, non c’è speranza”.
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