di Valeria Guarniera
Reggio Calabria – La Calabria al centro della discussione. Questa nostra terra – così bella e disperata – protagonista, suo malgrado, di un film che sembra ripetersi. Di una storia che sembra non voler cambiare. E, se l’intento della Rassegna Letteraria “Il Sasso in bocca” – organizzata dalla cooperativa sociale I-Chora e dal coordinamento reggino di Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie – è quello di andare a fondo, oltre le apparenze e i luoghi comuni l’obiettivo, anche per questo quarto appuntamento, è stato senza dubbio raggiunto. A parlare – spronato dagli spunti di riflessione di Lucia Lipari (I-Chora) e Piero Milasi (esponente di varie associazioni reggine e Presidente di Ecolandia) – Nino Amadore, de “Il Sole 24 Ore”. “La Calabria sottosopra” è la terza opera di Amadore dopo l’inchiesta La Zona Grigia sugli intrecci tra Cosa Nostra e la società civile in Sicilia e dopo il libro “L’Isola civile” scritto con Serena Uccello (Einaudi) sulla rivolta degli imprenditori siciliani contro la mafia. Il volume si concentra sulla Calabria provando a raccontare le conseguenze del sottosviluppo mafioso, cui non sono estranee le scelte e le azioni di una classe dirigente troppo a lungo legata direttamente alle famiglie delle ‘ndrine o alla loro subcultura mafiosa. “Per chi fa questo mestiere la Calabria, purtroppo, è una specie di miniera – ha detto l’autore – le cose ti arrivano in una specie di ciclo continuo. Reggio è una bellissima città – ha sottolineato il giornalista messinese, vicino di casa attento e per niente saccente – a guardarla ci si chiede come mai non riesca a liberarsi dai suoi mali”. E questi mali, purtroppo, sono tanti e – soprattutto – sono radicati. E’ forte, e condiziona lo sviluppo e la crescita della Calabria, la responsabilità di quei calabresi che sanno, e fanno finta di non sapere. Che vedono, e fanno finta di non vedere. Che sentono, e fanno finta di non sentire. Un consenso che – quando non è collusione – è indifferenza ed è altrettanto grave. E poi c’è l’assenza – lo ha detto chiaramente Nino Amadore – di una classe dirigente solida, forte, capace di fronteggiare le pressioni del malaffare e in qualche caso della malavita organizzata”. Bisogna iniziare un nuovo percorso, in cui chi denuncia non viene lasciato solo. Una nuova strada da percorrere insieme, formando una rete che – proprio dell’unione – fa la sua forza. Lo Stato deve dimostrarsi presenza attiva, perché della sua assenza le mafie hanno fatto la loro forza. La Calabria andrebbe messa sottosopra. “La situazione si può cambiare – ha detto il giornalista – si può ribaltare. Ci sono dei meccanismi positivi che – anche se con fatica – emergono. Bisogna valorizzare le realtà positive, aiutare chi lavora in questo terreno così difficile. Saper distinguere tra chi lo fa e chi non lo fa”. E forse, proprio in questa distinzione ci giochiamo tutto. Bisognerebbe far prendere ad ognuno le proprie responsabilità. Contrastare la ‘Ndrangheta sul piano economico, perché è lì che sta la sua grande forza. Gli imprenditori che denunciano andrebbero appoggiati e aiutati con i fatti. Contribuire a creare un’economia nuova. “Bisogna ripartire dall’identità. Valorizzare ciò che abbiamo – ha concluso l’autore – esiste un mondo che si sta muovendo: bisogna aiutarlo ad emergere”.
Da www.ildispaccio.it
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