Che il nostro tessuto sociale, produttivo, politico sia intriso di mafia è ormai un fatto innegabile e lo dimostrano le innumerevoli indagini della magistratura che hanno accertato, e continuano a farlo, gravi responsabilità penali a carico degli appartenenti alle più disparate categorie professionali; ma quante attività illecite sarebbe possibile limitare, se non addirittura evitare, se i rispettivi ordini professionali intervenissero con pesanti provvedimenti disciplinari?E’ questo l’interrogativo “principe”da cui prende le mosse il libro “La zona grigia- professionisti al servizio della mafia”del giornalista del Sole 24 ore Nino Amadore e che ha dato impulso all’incontro svoltosi nei giorni scorsi, presso l’Auditorium Rai di Palermo. Vale la pena soffermarsi sull’incisività di un’azione moralizzatrice ,quale è appunto la sospensione degli iscritti, che sia rapida e inequivocabile da parte degli ordini di appartenenza, e che limiti fortemente lo spazio di manovra di un professionista, in attesa, com’è giusto che sia, della sentenza di condanna definitiva in tribunale. E ciò, a maggior ragione, in considerazione del fatto che purtroppo in Italia, i tempi della giustizia risentono di un’atavica lentezza.
In gioco c’è la possibilità di interrompere, da parte degli ordini, tutti quei meccanismi viziosi attraverso i quali un numero sempre più consistente, ma ancora oggi indefinito, di professionisti, come sottolinea Nino Amadore nel suo libro, favorisce Cosa Nostra ottenendone in cambio vantaggi personali.
L’incontro ha visto la presenza, tra gli altri, di rappresentanti di alcune importanti categorie professionali chiamate , in vario modo, in causa nel dibattito: Enrico Sanseverino, presidente dell’ordine degli avvocati di Palermo; Santo Russo, presidente dell’ordine dei dottori commercialisti ed esperti contabili di Palermo ed Ettore Artioli, vice-presidente di Confindustria nazionale. A fare da eccellente moderatore e talvolta “pungolatore”, il giornalista Rai, Salvatore Cusimano.
Il dibattito ha inteso fare, in qualche modo, il punto della situazione su quanto è stato finora fatto e quanto c’è ancora da fare, chiarendo via via le rispettive posizioni degli ordini professionali.
Inutile dire che sarebbe stato molto interessante mettere mano, nello specifico, alle norme che dovrebbero regolare l’accesso alla professione e vigilare costantemente sul corretto operato dei professionisti, i cosiddetti “codici deontologici”. Proprio in questo senso è fondamentale, ha ribadito Nino Amadore, che gli ordini, “come prescrive il medico”, facciano una sorta di “prevenzione”, si dotino, cioè, al più presto di codici etici, atti autonormativi, elaborino norme specifiche di comportamento, da rispettare “a monte”, se si vuole continuare a svolgere la propria attività. E ciò non solo a garanzia del sistema, ma anche del soggetto indagato.
Servirà senz’altro provvedere in fretta, nelle sedi opportune, se non si vuole vedere crescere in modo esponenziale il numero di professionisti “prezzolati”,che nonostante il palese coinvolgimento in indagini di mafia, continuano a curare con “nonchalance” gli interessi dei boss.
Nino Amadore si domanda inoltre, se non sia il caso di chiedere, anche per i professionisti, la cosiddetta “informativa antimafia”.
Ne va, a questo punto, della stessa sopravvivenza degli ordini professionali, la cui funzione, ha sottolineato il presidente dell’ordine degli avvocati di Palermo Enrico Sanseverino, è fondamentale per evitare la giungla delle professioni, garantire un ordine nell’accesso e degli “standards” qualitativi degli iscritti.
E’ senz’altro importante scoprire che, lo ha fatto presente il presidente dell’albo forense di Pelermo Enrico Sanseverino, l’ordine degli avvocati è uno dei pochi che celebra i provvedimenti disciplinari con la costante presenza del pubblico ministero, ma è altrettanto importante sottolineare che il procedimento disciplinare non è autonomo rispetto all’azione penale e ciò si traduce in un “continuo “rimandare” ogni provvedimento alle calende greche e in una sostanziale mancanza di provvedimenti disciplinari immediati, i soli che possono fare la differenza.
Allo stato attuale, lo rileva carte alla mano Nino Amadore, il sistema è orfano di queste regole.
Tutti gli intervenuti hanno concordato sulla necessità di una presa di coscienza dell’entità del problema, su quanto può essere determinante il ruolo degli ordini professionali nel processo di liberazione della società dal “giogo” mafioso; quanto la netta e ferma condanna da parte della categoria di appartenenza, possa realmente contribuire a restringere la rete dei professionisti che, non sono più “semplicemente collusi” con la criminalità organizzata, come ha sottolineato il giornalista Salvatore Cusimano, ribadendo il concetto espresso più volte nel libro “La zona grigia”, ma, diventano esponenti di una nuova classe dirigente mafiosa.
Da questa consapevolezza, dipenderà la possibilità di arginare il diffondersi dell’illegalità e di intraprendere un percorso di sviluppo economico-sociale sano e propositivo, più volte auspicato e di cui tanto abbiamo bisogno.
Nel corso dell’incontro-dibattito, è stata, inoltre, ricordata l’importante presa di posizione di Confindustria Sicilia nel richiamare i propri associati ad un forte senso di responsabilità, che si esplica attraverso il rispetto di regole ben precise, il cosiddetto“decalogo di confindustria”, in primis, la denuncia delle richieste di pizzo; pena la fuoriuscita dal sistema confindustriale. Lo ho ribadito, nel suo intervento, il vicepresidente nazionale di Confindustria, Ettore Artioli.
Non sono stati pochi i timori e le preoccupazioni derivati al giornalista Nino Amadore, dalla trattazione di argomenti così delicati, ma è stata più forte la volontà di contribuire a far nascere uno spirito critico nei confronti delle dinamiche, attraverso cui i professionisti svolgono il ruolo di manovratori “occulti” di affari illeciti, per conto di Cosa Nostra.
Il libro ha il merito di avere “invitato” al dibattito proprio le parti chiamate in causa e cioè gli ordini professionali, di aver offerto un occasione di riflessione su un fenomeno sul quale ancora adesso si tende a sorvolare per evitare di scoperchiare un pentolone molto ricco di spunti, vista l’enorme quantità di professionisti coinvolti in inchieste di mafia, molto spesso condannati, e viste le consistenti responsabilità in ballo.
Daniela Catanzaro
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