Un dibattito sulla mafia e sull’etica quello che si è tenuto all’auditorium Rai di Palermo, dove è stato presentato e commentato il libro “La zona grigia. Professionisti al servizio della mafia”, scritto dal giornalista del Sole 24Ore Nino Amadore. Oltre all’autore, hanno partecipato all’incontro: Ettore Artioli, vicepresidente di Confindustria; Enrico Sanseverino, presidente dell’Ordine degli avvocati di Palermo; Santo Russo, presidente dell’Ordine dei Dottori commercialisti ed esperti contabili della provincia di Palermo. Il giornalista Rai Salvatore Cusimano è intervenuto come moderatore.
Si continua a discutere sui meccanismi attraverso il quale la criminalità organizzata si manifesta.
Si continua a parlare di lotta alla criminalità, mi chiedo, ma realmente si sta combattendo?
La morte di Falcone, Borsellino, Grassi ed altri ancora, è stata vana?
Direi che del tutto vana non è stata, se oggi si continua a discutere e si cerca di dare un assetto, o meglio di stabilire un rigore etico per combattere la criminalità organizzata, di abbattere il pesante muro dell’omertà che per anni è stato lo scudo dietro il quale i mafiosi si nascondevano.
Gli imprenditori cominciano ad essere stanchi di subire le intimidazioni, di continuare ad essere delle vittime, che molto spesso per paura o per convenienza si sono ritrovati ad essere complici di tal sistema.
“Chi paga il pizzo, chi non denuncia il racket, è fuori dal sistema confindustriale”- sottolinea nuovamente il vicepresidente Artioli. Si assiste a un vero e proprio mutamento; non è più soltanto la percezione di un possibile cambiamento, ma la realtà concreta, confermata dall’aumento delle denunce da parte degli imprenditori, che nonostante la paura, decidono di combattere, facendosi coraggio, grazie anche ai risultati ottenuti in questi ultimi anni da polizia e carabinieri, con la cattura di capi ma anche di complici di mafia. Ma ciò che realmente si dovrebbe diffondere è un nuovo codice etico tra i professionisti, coloro che continuano ad esercitare liberamente la loro professione, ma che alla fine dei conti sono i veri registi di questo subdolo sistema. “Non si esclude di certo che gli ordini facciano il loro dovere di vigilare i propri iscritti” – afferma Amadore – “ma la certezza è che i reati non emergono, cioè non sono perseguibili, di contro ognuno è libero di poter essere la mente di un “braccio criminale”.
È questo che si chiede ai presidenti degli ordini, di dettare rigide linee guida, di istruire le coscienze dei nuovi professionisti (oltre che dei vecchi) che si affacciano al mondo del lavoro, di evitare che da vittime passino a veri e propri artefici. Il consenso alla collaborazione da parte dei presenti è unanime, ma sinceramente le parole sono vane se effettivamente qualcosa di concreto non verrà realizzato. Bisogna continuare a dare colore a una terra che ha ancora oggi ampie “zone grigie”.
Rosalinda Toralbo
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