Il “pizzo”, nel territorio catanese, non è soltanto una costante nei confronti del piccolo esercente, ma – sotto altre e più subdole forme – si è anche infiltrato nella grande distribuzione dei centri commerciali. «Nell’ultimo quinquennio in Sicilia il numero degli ipermercati e dei grandi magazzini è aumentato al punto da raggiungere il primo posto nelle regioni del Mezzogiorno. Su 850mila mq di superficie di vendita dell’intera regione, più di 70mila sono a Catania e provincia. Numeri da capogiro, eppure è tracciabile solo il 25 per cento di riciclaggio» .
A fornire i numeri, nel corso del convegno dell’Associazione antiracket di Catania, Marisa Acagnino, presidente di sezione al Tribunale di Catania, presente all’ex Monastero dei Benedettini, dove i massimi rappresentanti della città etnea – il prefetto Francesca Cannizzo, il procuratore della Repubblica Giovanni Salvi, il sindaco Raffaele Stancanelli, il questore Antonino Cufalo, il presidente del Tribunale Bruno Di Marco, il presidente della Camera di Commercio Pietro Agen – si sono riuniti per celebrare un compleanno importante, i vent’anni di attività dell’Asaec, l’Associazione antiestorsione “Libero Grassi” di Catania, che per l’occasione ha organizzato il convegno “Dall’estorsione al riciclaggio: prospettive di contrasto”. Al tavolo dei relatori – moderati dal giornalista Rai Guglielmo Troina – il Sostituto Procuratore della DDA del Tribunale di Napoli Maria Cristina Ribera, il Senior Executive Vice President della ST Microelectronics Carmelo Papa; mentre tra il pubblico sedevano anche Giuseppe Vecchio, già preside della Facoltà di Scienze Politiche in rappresentanza dell’Università etnea, il colonnello dei Carabinieri Francesco Falcone, il capitano della Guardia di Finanza Orazio Sanfilippo, il capo della Squadra Mobile Giovanni Signer e i marescialli Ignazio Paradiso e Giuseppe Birgillito, oltre ai rappresentanti delle associazioni antiracket e a numerose personalità del mondo della cultura e del volontariato. A Catania l’imposizione criminale si manifesta non come pretesa di denaro, ma quale richiesta forzata di prodotti e servizi, di accordi nelle gare d’appalto e nei sistemi di forniture. È uno scenario nuovo che segue i cambiamenti e i flussi del mercato economico, per il quale occorrono quindi «sempre più sforzi investigativi – ha affermato la dott.ssa Ribera – oggi che, rispetto alle dure difficoltà di vent’anni fa, esistono maggiori strumenti di tutela degli imprenditori e del territorio». L’obiettivo deve essere allora quello di non disperdere il lavoro compiuto, ma di contrastare dati scoraggianti, come quelli del Comitato nazionale di Solidarietà alle Vittime di estorsione e usura che riporta per il 2009 soltanto 767 denunce in tutt’Italia. O ancora, come le statistiche di Bankitalia che ha individuato nell’industria del riciclaggio la produzione di 410 milioni di euro al giorno, pari al 10 per cento del Pil italiano. «Sono cifre che potrebbero risanare in brevissimo tempo il debito pubblico, e che aumentano per colpa di chi asseconda l’estorsione – hanno commentato i soci dell’Asaec – non denunciare significa consentire alla criminalità il controllo del territorio e l’acquisizione di un’enorme liquidità sottratta ai cittadini. Perché le vittime non sono solo commercianti e imprenditori ma anche i cittadini comuni, troppo spesso costretti a pagare da 400 a 800 euro per riavere l’auto o il motorino sottratti dalla delinquenza. Un fenomeno, questo, che a Catania è dilagante. Vogliamo dunque lanciare un messaggio forte e chiaro: l’estorsione è il cancro della nostra società, non esistono vie alternative. La guarigione deve necessariamente passare per l’eradicazione del male, al fine di non perdere l’attività lavorativa e la propria dignità».
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